I segnali che indicano stabilità dietro il recente calo
Il brusco arretramento dei listini azionari registrato il secondo venerdì di ottobre ha riacceso i dubbi tra gli investitori: si tratta dell’inizio di una correzione strutturale o semplicemente di un fisiologico ritracciamento all’interno di un ciclo rialzista ancora intatto?
Nonostante i titoli allarmanti, diversi indicatori di trend mostrano che la fase attuale assomiglia più a un rumore di breve periodo che a un’inversione di fondo. Analizzare il mercato attraverso parametri oggettivi consente infatti di ridurre il peso delle emozioni e delle notizie del momento nelle scelte di portafoglio.
L’osservazione di diversi indicatori chiave, dall’andamento dell’S&P 500 ai rapporti tra settori difensivi, value e growth, fino al confronto tra azioni e materie prime, offre una fotografia coerente: il bias rialzista del mercato resta per ora intatto.
L’S&P 500 mostra solo un indebolimento temporaneo
Il primo segnale arriva dallo SPDR S&P 500 ETF (SPY), un punto di riferimento per valutare l’andamento complessivo del mercato. I dati settimanali evidenziano che il calo recente non ha ancora assunto caratteristiche preoccupanti: lo SPY è sceso sotto la media mobile a 5 settimane, ma resta ben al di sopra della media a 20 settimane.
Finché quest’ultima soglia non verrà violata, non si può parlare di un’inversione strutturale del trend.
I settori difensivi non guidano ancora il mercato
Un altro utile parametro riguarda la performance dei titoli dei beni di consumo primari (XLP) rispetto al mercato generale (SPY).
Storicamente, quando cresce la percezione di rischio, gli investitori si spostano verso settori difensivi, facendo salire questo rapporto. Ma oggi accade l’opposto: i beni di consumo di base continuano a sottoperformare l’indice, un chiaro segnale che non si è ancora verificato un cambiamento di sentiment.
Value ancora in ritardo rispetto al Growth
Un discorso analogo vale per il confronto tra titoli value (VTV) e growth (VUG). Nelle fasi di turbolenza, i value tendono a sovraperformare grazie alla loro natura più prudente. Tuttavia, come mostrano i dati più recenti, i growth continuano a guidare il mercato, proprio come nelle fasi rialziste più mature.
Anche questo elemento suggerisce che non si è ancora entrati in una fase di stress o di avversione al rischio diffusa.
I titoli a bassa volatilità restano indietro
Il comportamento dei titoli a bassa volatilità (USMV) rispetto all’S&P 500 (SPY) conferma lo stesso scenario.
In presenza di un sentiment prudente, questo rapporto tende a salire poiché gli investitori cercano stabilità. Ma l’attuale trend è decrescente: i low-volatility stock non stanno ancora beneficiando di flussi difensivi, segno che la propensione al rischio resta elevata.
Le materie prime non segnalano pressioni inflazionistiche
Infine, il confronto tra materie prime (GSG) e azioni (SPY) aggiunge un’ulteriore prospettiva.
Nel 2022, quando l’inflazione esplose, le commodities sovraperformarono nettamente i titoli azionari. Oggi il quadro è opposto: il rapporto GSG/SPY continua a scendere, indicando che le preoccupazioni inflazionistiche restano contenute e non rappresentano, per ora, una minaccia per il mercato azionario.
Conclusioni: la tendenza rialzista tiene, ma la cautela resta d’obbligo
Nel complesso, questi cinque indicatori dipingono un quadro coerente: il mercato azionario mantiene una struttura rialzista e, al momento, non mostra segnali convincenti di esaurimento del trend.
Servirebbe un peggioramento ben più marcato dei prezzi e un’inversione simultanea di più indicatori per poter parlare di un cambio di regime.
Fino ad allora, la probabilità che il mercato abbia raggiunto il suo picco appare bassa. Tuttavia, il contesto resta dinamico: quando il sentiment si invertirà, i primi segnali emergeranno proprio attraverso questi indicatori di trend.



