Archiloco di Paro, poeta giambico e fondatore della lirica greca, in una delle sue celebri opere, rivolgendosi al proprio cuore, esorta se stesso a prendere coscienza dell’inevitabile alternanza di gioie e dolori che domina la vita.
I consigli di Archiloco utilizzano immagini legate alla vita militare, probabilmente quella che il poeta conduceva, o forse solo un richiamo convenzionale ai poemi omerici. Archiloco si raccomanda a una nuova etica, che detta nuovi precetti: non esaltarsi, né affliggersi troppo e rifuggire gli eccessi. Come riuscirci? L’imperativo finale rivela il segreto: conoscere il ritmo che regola l’uomo, cioè le alterne vicende dell’esistenza umana.
Il senso profondo di questo termine greco, ῥυϑμός, rythmós,è legato all’idea di misura, ovvero di un ordine che limita e che regola tanto la vita dell’uomo, quanto quella dell’universo. Chi riesce a sentire questa norma e ad adeguarvisi, riesce a non cadere nell’eccesso e a capire il senso degli avvenimenti.
Le riflessioni ed i precetti di Archiloco trovano analogie nel ruolo del Portfolio Manager, che deve anch’esso conoscere il ritmo che domina l’uomo e l’universo, e deve essere consapevole dell’alternanza di gioie e dolori che caratterizzano la sua attività, non esaltandosi nelle vittorie e non affliggendosi dinnanzi ad eventi avversi, rifuggendo gli eccessi.
E proprio per interpretare le tendenze dei mercati ed ipotizzare i possibili scenari futuri, abbiamo avuto l’onore ed immenso piacere di intervistare Mario Baronci, gestore FF – Global Multi Asset Difensive Fund di Fidelity International.
Mario Baronci
Gestore FF – Global Multi Asset Difensive Fund.
Fonte: Fidelity International
Traders’: Se dovessimo fare un bilancio di questa prima metà del 2025 così intensa, cosa potremmo dire in proposito?
Baronci: In questa prima parte dell’anno non ci siamo affatto annoiati. Il mondo si è dimostrato quanto mai multipolare: naturalmente le vicende legate alla nuova amministrazione americana, ma anche le due guerre, le politiche monetarie e fiscali in Cina, le tensioni fra India e Pakistan, l’indipendenza dei Banchieri Centrali, le vicende dell’inflazione, i tassi a lungo termine.
Tutti questi avvenimenti non hanno fatto che confortare uno dei nostri assunti principali: i rendimenti sono esogeni, li troviamo sul mercato e non possiamo influenzarli in alcun modo, al limite solo con la leva.
Il rischio invece non viene dal presidente, dall’azzardo dei generali o da eventuali manovre sconsiderate dei tecnocrati: il rischio è endogeno e lo decide il gestore che modula le protezioni e le assicurazioni a baluardo della performance, a seconda di quanto succede là fuori.
Il gestore decide il livello del rischio (la volatilità) ma soprattutto modella e scolpisce la forma della distribuzione dei rendimenti associati al portafoglio: noi, finora, siamo riusciti a tagliare la coda sinistra, ad evitare grossi drawdown.
Sotto la superficie del mare, oltre le increspature delle onde abbiamo assistito ad un caleidoscopio di opportunità, di sommovimenti, nel tempo come nello spazio.
Nel tempo: al momento i mercati principali sono poco mossi da inizio anno ma prendiamo per esempio il mese di aprile. Nei 30 giorni, se consideriamo solo l’inizio e la fine, non è successo nulla si direbbe: lo SPX è sceso di 80 centesimi. Se invece capovolgiamo il cannocchiale e guardiamo cosa è successo giorno per giorno la volatilità è stata spaventosa: sommando i crolli fragorosi e i repentini recuperi il mercato ha totalizzato, prima scendendo e poi recuperando ben 67%. Come diceva la Regina di Cuori ad Alice, “bisogna correre più che si può per riuscire a rimanere allo stesso posto”.
Oppure nello spazio: a chiunque si chieda dell’andamento dei mercati, in genere si risponde di un anno difficile, pieno di volatilità. Ma questo è vero solo se si guarda nei soliti posti, allo S&P, all’MSCI World.
Se invece si allarga lo sguardo a mercati meno frequentati possiamo trovare ingenti incrementi di valore da inizio anno: l’Europa dell’Est, l’America Latina, il nucleare, la difesa europea, le Banche Europee, alcuni mercati obbligazionari emergenti e così via.
Tutti con incrementi di valore anche superiori al 20%, altro che mercati difficili! Qui non è un problema del verso del cannocchiale ma di dove guardare, strizzando gli occhi.
Traders’: Quali sono i possibili scenari all’orizzonte?
Baronci: Non c’è mai stata tanta abbondanza di capitale come adesso e i momenti di crisi vengono in breve sopiti: Brexit, morbi sconosciuti, invasioni, tariffe, guerre-lampo, ci siamo abituati al fatto che in qualche settimana tutto viene assorbito. È “l’Economia del Poliuretano”, che si adatta all’impronta ai nuovi shock.
Ma in realtà c’è un vero elefante nella stanza, un fatto nuovo. È sparito, sembra, il cosiddetto “Dollar Smile”, ossia la condizione per la quale quando le cose vanno particolarmente male o particolarmente bene il dollaro si apprezza, mentre il suo deprezzamento in genere coincide con la buona salute di tutti gli altri asset in portafoglio. Per questo motivo i gestori dei grandi fondi internazionali (Endowments, Fondi Sovrani, Assicurazioni…) non hanno mai coperto in toto il rischio dollaro: quando l’avversione al rischio saliva le perdite venivano infatti temperate dalla rivalutazione del dollaro.
Ma dall’avvento della nuova amministrazione americana questo free lunch sembra svanito e i grandi gestori, per evitare di aggiungere danno alla beffa (perdendo sia sul mercato azionario che su quello valutario) potrebbero decidere di coprire parte dell’esposizione al dollaro lasciata aperta, agendo magari tutti assieme. Oppure, per rendere il lavoro più facile, potrebbero direttamente vendere parte degli asset denominati in dollari: Treasury e Borsa in primis.
Quando ho iniziato il mio percorso c’erano tre cose degne di ricordo: la lira, il muro di Berlino (per 3 giorni) e la concentrazione del Giappone nel MSCI World pari al 45%. Ora, anche dopo il rally memorabile degli anni recenti il Giappone vale solo il 6% dell’indice.
La storia non si ripete, si dice, ma talora rima: difficilmente fra 10 anni avremo la stessa concentrazione attuale di azioni americane, che pesano per il 71% nel MSCI World. Ci è sembrato logico quindi adottare come riferimento per la diversificazione una regola molto semplice: scritto fa uno su enne, mentre detto fa equiponderazione: geografica, settoriale e fattoriale.
Tanto spazio a investimenti prima, seppure a ragione, negletti: obbligazioni governative dei mercati emergenti in valuta forte, quasi tutti in euro, ma anche in valuta locale; attenzione molto più marcata ad investimenti “reali” (commodities, oro, azioni-valute-obbligazioni dei Paesi esportatori di materie prime); Asia e non solo Cina ma anche India, Indonesia e Corea, in America Latina Brasile e Messico attendendo l’Argentina e naturalmente la tecnologia. Questa deve essere e restare americana perché, non ce ne voglia nessuno, la frontiera tecnologica è oltreatlantico e lì resterà qualunque sia il colore dell’amministrazione americana: razzi che tornano indietro, intelligenza artificiale, fusione nucleare, computer quantistici, difficilmente verranno alla luce prima altrove.
Tale allocazione avrebbe sottoperformato negli scenari passati. Ma non si può tenere conto che tutto è mutato: la politica monetaria ha passato il testimone a quella fiscale, dai timori di deflazione a quelli di inflazione senza controllo, la Nato quasi dissolta, l’Asia che si ricompatta attorno ai suoi giganti, Cina ed India, la virtuosa e frugale Europa, Germania in primis, che promette enormi disavanzi fiscali. Non penso proprio che qui viga la morale del Gattopardo: qua tutto sta cambiando perché il mondo non sarà più come prima.
Quale dunque il rischio principale che potrebbe turbare il mercato? Con un facile slogan: il venir meno del potere taumaturgico del dollaro potrebbe agire da innesco, mentre l’eccessiva concentrazione rappresenterebbe invece l’ordigno, per ora quiescente.
Traders’: Come affrontare questa eventualità?
Baronci: Semplice! non cambiando una virgola nel nostro processo.
Seguendo il motto sempre-valido “primo non prenderle” abbiamo profittato di un ingente portafoglio di difesa costituito soprattutto da opzioni (su SPX, Eurostoxx, Vix), oro, franco svizzero e coperture su credito (Investment Grade) che hanno minimizzato i drawdown durante i frequenti episodi di alta avversione al rischio di quest’anno.
Perché abbiamo sempre mantenuto un portafoglio di difesa bello strutturato? Perché il mondo era già in disequilibrio quando ancora vigeva la Pax Americana, figuriamoci ora col mondo multipolare. Ne abbiamo avuto bisogno e ne avremo bisogno in futuro perché la cifra degli scenari a venire sarà il disequilibrio, l’eccesso, l’overshooting.
Ecco forse una differenza rispetto ad altre filosofie di gestione non è tanto la presenza di un portafoglio di difesa: tutti capiscono che con un portiere e dieci attaccanti non si va da nessuna parte.
La vera differenza risiede nel pensare al portafoglio di difesa negli stessi termini del portafoglio di attacco: entrambi sono tanto più efficienti quanto più sono diversificati.
Il rischio, come il rendimento, vanta tante dimensioni: cerchiamo di considerarle tutte quante.
Traders’: Portafoglio di Difesa e Portafoglio di Attacco: come vanno pertanto inquadrati questi due elementi?
Baronci: Quando compriamo (vendiamo) qualsiasi strumento, dal semplice BOT all’azione più volatile del Nasdaq, noi modifichiamo il portafoglio esistente sempre in due modi: alteriamo sia il rendimento atteso che il rischio atteso. In analogia con la matematica, che prevede che in presenza di due incognite si necessiti di due equazioni indipendenti per risolvere il sistema, così idealmente ho bisogno di dividere il portafoglio in due parti: una che miri a conseguire il rendimento atteso ed una che tenga a bada il rischio atteso. In analogia con il football americano, dove due squadre (attacco e difesa, appunto) si alternano nel corso della partita per la stessa franchigia, nelle prime due settimane di aprile ha “giocato” solo il portafoglio di difesa, che successivamente è stato relegato in panchina a favore del portafoglio offensivo. Per ora…
Le diversità fra i due portafogli sono notevoli (linearità vs convessità, requisiti di appartenenza e criteri di esclusione, frequenza dei ribilanciamenti) e necessiterebbero una trattazione a parte, ma una vera peculiarità della nostra modalità di gestione merita una menzione.
Nei testi accademici si insegna che il portafoglio ottimo è quello connotato dal Max Sharpe Ratio: ma per ottenerlo occorre stimare sia il vettore dei rendimenti attesi che la matrice attesa di varianza e covarianza. Entrambi vanno ricercati con buona attendibilità altrimenti “garbage in – garbage out”. Si badi bene: vettore e matrice da calcolare sono quelli attesi non quelli passati, altrimenti sarebbe come ipotizzare l’irrilevanza del tempo, che il futuro si comporti sempre come il passato: il che mi sembra una vera oscenità, in senso latino, finanziaria.
Un vecchio (1980) ma sempre valido paper di Robert Merton mostra che per la matrice di correlazione si hanno meno problemi di stima, dato che in genere se ne osserva la mean reversion dei componenti, mentre per il vettore dei rendimenti son dolori.
Allora l’accademia, seguita a ruota dalla nostra industria, ha escogitato vari modi per dare senso a ottimizzazioni meno ardue, che non prevedessero affatto la stima dei rendimenti attesi:
- Max Diversification
- Min Volatility
- Max Entropy
- Risk Parity (i pesi degli asset in portafoglio sono scalati secondo l’inverso della volatilità)
- Equal Risk Contribution (qui vengono prese in considerazione anche le correlazioni)
ed altri ancora, alcuni caratterizzati da processi matematico-statistici finissimi. Cosa pensare di queste tecniche od approcci, ormai mainstream? Rispondo citando Sébastien Page, che in un suo recente libro (Beyond Diversification) riportava che se non ci mettiamo a ragionare sui ritorni attesi “…we should not be in the investment business”.
Traders’: Qual è il vostro approccio su cui si fonda questo dualismo portafoglio d’attacco-portafoglio di difesa?
Baronci: Scomodando il mito, noi adottiamo la dialettica fra due titani, i fratelli Prometeo (“colui che pensa prima”) ed Epimeteo (“colui che pensa dopo”).
Nel portafoglio di attacco ci sforziamo di capire lo scenario attuale: dove vanno i mercati? Quale sarà il prossimo scenario? Qui con Prometeo si sbaglia, anche spesso, ma si tenta comunque di prevedere il vettore dei rendimenti attesi.
Nel portafoglio di difesa invece non si pensa, non si stima: ci si limita a reagire. Il mercato è salito? Aggiustiamo le nostre difese (put, oro, franco svizzero…) un po’ più in alto, pagando premio.
Il mercato ha corretto? Riportiamo più in basso le nostre difese, incassando e monetizzando premio e valore sugli altri asset difensivi.
Si reagisce, non si tenta di prevedere il futuro col nostro Epimeteo. Per definizione reagendo si è sempre nel giusto, anche se il mercato sideways è il nemico numero uno dell’approccio.
I due titani, le due facce della gestione, non si guardano l’un l’altra perché hanno obiettivi differenti: l’una il rendimento, l’altra il rischio. Con un paragone ardito ci si potrebbe rifare a due capolavori pittorici: la Natività Mistica di Botticelli o la Trasfigurazione di Raffaello. In entrambe le rappresentazioni quello che avviene sotto non rileva per ciò che succede sopra, le due metà si ignorano ontologicamente: sono alterità pura. Ma in entrambi i quadri rispettivamente gli angeli e gli apostoli stanno in mezzo ai due mondi, li collegano, danno loro senso: un po’ come fa il PM al portafoglio.
Anche con questo particolare approccio il compito è reso meno arduo dalla mancata stima di una variabile cruciale, il rischio, che diventa un semplice parametro cui reagire.
La strada delineata resta quindi più facile rispetto ad ottenere l’irraggiungibile portafoglio caratterizzato dal Max Sharpe Ratio, ma rimane comunque ben più impervia rispetto alle ottimizzazioni monche prima citate.
E, quel che più conta, i due titani, diversi anzi antitetici, donano stabilità al portafoglio: quello che si richiede in un mondo assediato e funestato dal disordine.
L’intervista a Mario Baronci, che ringraziamo, è stata curata da Diego Scialpi.