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Lo scenario che porterà al crollo del 2027-2028

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Un palcoscenico con tanti artisti in continua mutazione.

Un avviso, poi partiamo.

Se sei dell’opinione che gli scenari geopolitici e storici non trovano spazio nel tuo interesse per i mercati finanziari, non leggere questo articolo.

E’ un lungo articolo, è scritto in modo che alcuni definirebbero pedantemente logorroico, per chi ama (come me e come molti nostri Lettori) la catena logica della storia, quella che aiuta a comprendere i perché.

Nondimeno, chi lo ha scritto, alle volte (non sempre), in passato, ci ha visto bene.

 

Agricoltura e Industria.

La prima rivoluzione industriale ha sostituito gradualmente l’agricoltura con l’industria, come fonte primaria di reddito, di distribuzione dello stesso e di crescita del PIL.

Il processo si è sviluppato in tempi diversi a seconda delle nazioni, a cominciare dall’Inghilterra.

L’industria ha creato lavoro e ha contribuito in modo determinante, nel corso dei decenni e dei secoli, a riequilibrare i poteri, attraverso l’affermarsi dei sindacati e dei gruppi di rappresentanza dei lavoratori.

Gli anni ottanta, in Italia e nel mondo, furono il culmine, e tutti coloro che ricordano quell’epoca converranno che si trattava dei “mitici” anni ottanta.

 

L’industria e la globalizzazione.

Arrivò la caduta del muro di Berlino, il simbolo dell’implosione dell’Unione Sovietica.

Un impietrito Putin era ancora rinchiuso nella sede della Stasi di Dresda, bruciando scartoffie, armato soltanto di una Luger a sei colpi, mentre tutti i suoi colleghi se l’erano data a gambe e una folla di decine di migliaia di persone si avvicinava pericolosamente al palazzo.

Nello stesso momento, Gorbachev e Reagan si stringevano la mano sulle rovine del muro di Berlino, davanti alle telecamere di tutto il mondo.

Confesso, vedendoli, ebbi un moto di commozione, la sensazione che quella scena era una pagina nuova della storia e che nella vita raramente avrei potuto vedere qualche cosa di così inaspettatamente rivoluzionario per i destini del mondo.

Chi l’ha vissuto, non può non avere provato una enorme emozione. Era la fine della Guerra Fredda, l’inizio di una nuova epoca.

Era anche l’inizio della globalizzazione.

Già.

Il buon professor Tremonti scrisse un libro, negli anni successivi, e tentò di mettere in guardia da una globalizzazione senza limiti.

Ma, oggi, è tardi per parlarne.

Così come l’agricoltura aveva ceduto il passo all’industria, ora l’industria faceva una ulteriore fuga in avanti: era l’industria globalizzata, che allocava manodopera e acquisto di materie prime dove risultava più conveniente.

Interi distretti industriali in occidente scomparvero e con essi il forte potere sindacale degli anni ottanta, lasciando il passo ad un vetero-sindacalismo inefficace e fuori dal tempo, o semplicemente impotente di fronte all’enorme portata della globalizzazione.

Un destino che poi sarebbe toccato, negli anni venti del nuovo millennio, alla sinistra mondiale, frazionata, dispersa, incapace di creare un modello credibile alternativo alle conseguenze estreme della globalizzazione.

 

Internet e il potere dei servizi.

Nel frattempo Internet cresceva ad una velocità folle, favorito dalla decisione storica di Clinton di rendere disponibile a tutti gratuitamente il suo protocollo, che era stato utilizzato solo in ambito militare ed era divenuto obsoleto ed inusabile per i militari.

Il TCP/IP, settecento righe di codice base, cominciò a connettere il mondo.

Un’altra frontiera veniva spazzata via, quella della comunicazione globalizzata. Con la nascita e lo sviluppo di imperi dedicati ai servizi.

Era una nuova trasformazione della società.

L’industria cessava di essere il potere trainante della società, lasciando spazio ai servizi.

Fino al punto che grandi prodotti industriali di tipo tradizionale vengono arricchiti gradualmente di servizi, che finiscono con il prevalere sui prodotti stessi dal punto di vista del gradimento del consumatore e dal punto di vista della loro stessa produzione, che diventa robotica, mix di hardware industriale e di intelligenza dei software.

 

Nel palcoscenico mondiale arriva l’intelligenza artificiale.

Ai software dei robot, basati su algoritmi certi ed identificati, quindi totalmente meccanici, anche se programmabili, arriva un bel giorno una tecnologia che supera la dimensione degli algoritmi e dei software tradizionali.

L’intelligenza artificiale introduce nei software la loro capacità autonoma di consultare lo scibile umano e di poter quindi essere “addestrati”.

In definitiva di migliorare e di accrescere le proprie capacità potenziali nel tempo.

Altro che algoritmi programmabili… un salto nel futuro a cui l’umanità si è subito chiesta se sarebbe o no stata pronta.

Ma lo sappiamo.

Dall’agricoltura all’industria, c’era chi diceva che avremmo perso la parte migliore dell’umanità che ci dà da mangiare.

Dall’industria all’industria globalizzata, c’era chi diceva “Attenzione” (e aveva ragione, ma non sempre chi ha ragione prevale), avremmo insegnato a nazioni totalitarie il know-how industriale accumulato in almeno 100 anni di storia occidentale, confondendo il profitto immediato con l’utile strategico di lungo termine.

Dall’industria, già globalizzata, allo strapotere dei servizi, c’era chi diceva che difficilmente i servizi avrebbero creato i posti di lavoro persi nell’industria.

Oggi, è arrivata l’intelligenza artificiale, i servizi vanno in direzione di un upgrade di specificità complessa, verticalizzata, dove lo strapotere della macchina, dei software, dei processi non prevale sulla necessità di intervento umano, ma la annienta, riducendola ai minimi termini.

E così, sentiamo fare le stesse osservazioni, gli stessi warning, gli stessi alert, già sentiti nei diversi passaggi evolutivi della società degli ultimi 200 anni.

 

Il palcoscenico si riempie di attori che litigano fra loro.

Il caos che abbiamo visto negli ultimi tre anni e ancor di più negli ultimi 12 mesi è l’indizio di un nuovo ciclo di lungo termine che inizia ora.

E nei nuovi cicli che iniziano ci sono litigi (quindi, guerre) perché il capitalismo, filosofia e sistema economico ormai condiviso da tutti, perfino da chi si adorna dell’effige di Partito Comunista, ha bisogno di protagonismo, di spazio nel palcoscenico, quello spazio sono i mercati, la capacità di vendere ad un pubblico sempre più ampio, di acquisire un potere sempre più forte ed incontrastabile.

Finché c’era quella ridicola cortina di ferro ai tempi dell’Unione Sovietica, il capitalismo aveva un limite naturale, un avversario da battere.

Ora il capitalismo è nella stessa condizione dell’Impero Romano della tarda epoca imperiale: non c’è più nulla da conquistare, il vaso è pieno, la borsa è gonfia, conta solo chi rimane sul palcoscenico e ha più forza.

Così, si fa l’inventario delle forze, perché è necessario determinare chi comanda e chi conta di più.

 

Gli USA, il paese più capitalista.

Agli Usa, va tuttora la palma del paese più capitalista del globo.

Un paese che si regge su un debito indeterminato ed incomprimibile e sviluppa il 70% del PIL sui consumi.

Più capitalista di così, è difficile pensarlo.

Un bel giorno, quel Paese, il più capitalista, quello che ha determinato l’esito della Seconda Guerra Mondiale, disegnando una nuova mappa del mondo nel 1945, che ha insegnato a tutti la migrazione da agricoltura ad industria, da industria a industria globalizzata, da industria globalizzata ai servizi, e, ora, dai servizi all’intelligenza artificiale, un bel giorno si accorge dei suoi errori.

Che, alla fine, non sono i suoi errori, ma sono gli errori del capitalismo. Ma loro sono il Paese capitalista per eccellenza e quindi sente che sono i suoi errori.

I suoi errori sono, è evidente, la clamorosamente errata distribuzione della ricchezza. Una delle cause, fra l’altro, che fece cadere l’impero romano.

Così, una massa di persone che fanno l’America, e che hanno scoperto perfino, con Trump, di essere maggioranza, vuole rimangiarsi gli errori fatti.

Vuole un reply dalla storia, ritorniamo indietro e ricominciamo dal punto dove abbiamo sbagliato, ora sappiamo dove abbiamo sbagliato ed eviteremo gli errori.

Così quegli operai di Detroit, piuttosto che quei piccoli imprenditori immigrati e oggi “americani” a tutti gli effetti di Big Italy a New York, quella massa di immigrati, in tutto il Paese che da inizio del secolo scorso sono approdati negli Stati Uniti in cerca di fortuna e hanno costruito lì imprese, famiglie, ricchezza, e hanno sopportato i duri ritmi lunghi e spesso umilianti dell’immigrazione legale…

Quegli “americani” da tutto il mondo, perché di americano in America c’erano solo gli indiani e quelli non ci sono più, che hanno costruito una vita agiata, una quota in un fondo pensione, il conto 401k che cresce mese per mese, che hanno obbedito alle leggi, i cui nonni e bisnonni hanno vissuto la Grande Depressione, quella “classe media” sempre più appiattita verso il basso ….

Ecco quelli sono gli americani di Trump. Quelli che vorrebbero far tornare indietro il rullino della storia.

Quelli che dicono perché Apple deve produrre in Cina o in India, perché General Motors non può tornare a produrre a Detroit, perché abbiamo esportato ed insegnato le nostre migliori capacità a chi oggi ci fa le scarpe ed è diventato nostro competitor e nemico?

 

Già, perché.

Il perché è semplice, lo si trova perfino nel libro scritto da Tremonti, in epoca certamente non sospetta. Quando il capitalismo si è dimenticato del suo necessario dualismo con le democrazie, si è trafitto il ventre da solo.

Quando ha pensato di mettere al muro la sindacalizzazione imperante con la disallocazione delle risorse.

Che gusto, non avere più concorrenti, rivali, competitors nella distribuzione della ricchezza. Che gusto poter accumulare all’infinito, acquisendo poteri a livello mondiale. Che gusto allocare la manodopera dove costa un quinto, un sesto, un decimo … o dove le materie prime sono così abbondanti da costare pochissimo.

Lo scrivevamo su Traders’ Magazine dal 2015 al 2019, non c’è più tempo per fermare il processo di cessione del diritto d’autore del capitalismo ai cinesi, o lo facevamo allora, in zona Cesarini, in extremis, o non ci sarebbe stato più tempo per farlo.

E ora, infatti, non c’è più tempo per farlo.

Quello che vorrebbero gli elettori di Trump è proprio questo.

Ciò che non c’è più tempo per farlo.

Ciò che oggi è diventato impossibile.

Ciò che ha arricchito in modo smisurato una piccolissima parte della popolazione mondiale, rendendo il processo irreversibile.

Ciò che ha appiattito il 70% della classe media verso il basso, assorbendone verso l’alto l’1%.

 

Trump

Così, Trump è diventato Presidente degli Stati Uniti.

Aggiungendo litigi di ogni genere sul nuovo palcoscenico. Usando una tattica non da regista di palcoscenico, ma da primo attore comico-drammatico.

Urlando di tutto e il contrario di tutto. Impressionando il pubblico, circondato da una curiosa élite di yes-man, grotteschi come e più di lui.

E se non sei uno yes-man, puoi andartene dal palcoscenico, o stare relegato in una curiosa area del palcoscenico, in ombra, dove sono state piazzate delle piccole sedie basse in paglia, come quelle dei bambini.

Quello è il posto di Musk, oggi, di Rutte, e di altri … conviene sempre avere dei riservisti, costano poco, una piccola sediola in paglia e sono al loro posto, lì, pronti a servire.

E i gangster del globo, i capitalisti per osmosi, possono divenire perfino amici … che bello le dittature, fare quello che ti pare una volta che una folla di arrabbiati ti ha eletto.

Anche se quella folla, forse, attendeva qualche cosa di diverso, ma che importa.

 

Perché è tardi.

Perché gli USA dipendono dalla Cina molto più di quanto non ammettano.

Si è parlato delle terre rare. Ma si sta parlando dell’industria americana dei droni, la cui componentistica è cinese.

La Cina, a sua volta, ha bisogno degli Stati Uniti. Almeno finché non invaderà Taiwan e allora saremo noi nei guai.

Far tornare indietro il rullino della storia è sempre stata una operazione fallimentare ed è come finirà l’America Great Again di Trump.

 

Nelle Borse.

Negli ultimi due mesi, i mercati si sono convinti che Trump abbaia per non mordere e spaventare l’avversario.

Superate alcune possibili “brutte notizie” sui dazi, il mercato sarà ancora più felice di andare in un parossistico rialzo.

Probabilmente da metà luglio a fine settembre avremo ancora delle aree di incertezza, di poca convinzione o di paura.

Ma siamo di fronte ad una prospettiva di grandi rialzi delle borse americane, l’S&P500 a 7000 è probabile entro il primo semestre del 2026.

I grandi assenti, gli istituzionali, troveranno il modo di rientrare a mercato, con il broncio, nel possibile ritracciamento che ci sarà fra agosto e settembre.

Questo significa, con la loro tardiva partecipazione, che l’accelerazione rialzista potrebbe essere addirittura superiore e più esplosiva di quanto abbiamo visto nelle ultime settimane.

 

Poi…

Il grafico dall’ottobre del  2022 al 2026-2027 ci apparirà come una sorta di rialzo uniforme, dove i ritracciamenti di marzo 2023, agosto 2024, aprile 2025 sembreranno banali necessari ritracciamenti.

Poi comincerà l’area di pericolo. I mercati si vendicano sempre dell’incompetenza. E l’economia reagisce vigorosamente a chi cerca di riavvolgere il rullino della storia.

In un periodo fra la fine del 2026 e il 2028 , con maggiore probabilità fra la primavera del 2027 e la primavera del 2028, i mercati risentiranno fortemente degli errori fatti.

E un ribasso superiore al 30%, e anche superiore, diventa, a quell’epoca, molto probabile.

Cicli dei mercati e cicli della storia convergeranno e non sarà una cosa piacevole.

 

Ora cavalchiamo il rialzo.

Che è ciò che può interessarci di più.

Non perdere i prossimi articoli, in cui definiremo con ancora maggiore precisione lo scenario prossimo.

E abbonati a Traders’ Magazine e alle Classroom per condividere con noi i metodi di analisi e le proiezioni che ci permettono di interpretare al meglio i mercati e di posizionarci di conseguenza.

 

Continental.

E sui mercati, il modo migliore per cavalcare il rialzo prossimo venturo, le scosse di volatilità dei ritracciamenti che vivremo ad agosto-settembre, soprattutto per capire i mercati e applicare le migliori strategie operative possibili in funzione del momento,

tutto questo si chiama Continental,

per scoprirlo insieme con noi, invia una email a info@traders-mag.itcon il tuo nome, cognome e numero di telefono.

maurizio monti

 

Maurizio Monti
Editore
Traders’ Magazine Italia

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