Il Nasdaq affonda e fa affondare i listini.
Nasdaq a secco
I dati pessimi di Amazon e non confortanti di Apple hanno tolto il residuo carburante al Nasdaq.
L’abbandono dei tecnologici ha influenzato l’universo dei listini USA.
L’S&P500 è sceso andando a chiudere nell’area del livello di supporto 6266, ben noto agli abbonati a Traders’ Magazine e alle Classroom.
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Rapporto Nasdaq/S&P500 future all’ 1 agosto 2025
Il livello di resistenza e doppio massimo rispetto al 10 luglio 2024 è stato violato per alcune ore, prima di affondare in modo pesante nella giornata dell’1 agosto.
Entriamo in una area molto più paludosa di quella di luglio. Agosto 2025 potrebbe essere molto movimentato, e così si annuncia fin dal primo giorno.
Non-farm payroll
Nell’articolo pubblicato sabato nell’ultima ora: Il tuffo di agosto dell’S&P500 abbiamo già commentato la quasi incredibile divergenza fra i dati degli ultimi due mesi, rispetto alla revisione effettuata, che ha abbassato di 258.000 unità le previsioni sui posti di lavoro creati.
Ci era sfuggita la notizia che Trump ha licenziato la responsabile dell’ufficio di statistica del lavoro, accusandola, ovviamente, senza alcun fondamento, di manipolazione dei dati.
Avevamo espresso dei dubbi sulla validità dei dati pubblicati, ma non perché pensiamo fossero manipolati (se c’è qualcuno che aveva interesse a manipolarli, non era certo l’ufficio di statistica, anzi, veniva da pensare un pesante sospetto proprio su chi ha licenziato la responsabile).
Semplicemente, riteniamo che il metodo statistico utilizzato non corrisponde più al mondo moderno: da decenni non ha avuto alcun aggiornamento, e il mondo del lavoro, soprattutto negli Stati Uniti, è mutato molto più rapidamente della capacità dell’ufficio di statistica di adattarsi al cambiamento.
Il risultato è uno solo: dati distorti e sempre più incerti.
E certamente licenziare la responsabile non è la soluzione, quanto, piuttosto, rivedere il sistema.
Dazi
Reuters, a firma di David Lawder e Chayut Setboonarng, ci informa che dall’8 agosto l’aliquota tariffaria media effettiva per gli Stati Uniti salirà al 18%, dal 2.3% dell’anno scorso.
Il Wall Street Journal commenta questo aumento nel modo seguente (libera traduzione da parte mia):
“Sta diventando sempre più chiaro che le aziende statunitensi… stanno assorbendo gran parte dei costi per ora.
In un mercato competitivo, un’azienda che aumenta i prezzi potrebbe perdere quote di mercato a favore di un concorrente che mantiene i propri prezzi stabili.
Molti sono riluttanti ad aumentare i prezzi finché non diventa assolutamente necessario e finché non sanno che i dazi, in continua evoluzione, permangono.
In alcuni casi, le aziende hanno dichiarato di voler aumentare i prezzi nei mesi a venire.
— Jeanne Whalen e Sarah Nassauer, “Trump’s Tariffs Are Being Picked Up by Corporate America”,
The Wall Street Journal, 24 luglio 2025, www.wsj.com.”
E’ sempre il Wall Street Journal, che con altri commentatori, rende nota la posizione della Ford, riguardo ai dazi.
“C’è un’ironia a Detroit in questo momento: la casa automobilistica che più dipende dalla produzione statunitense è tra le più colpite dai dazi.
Ford Motor, la seconda casa automobilistica americana, si vanta di produrre la maggior parte dei suoi veicoli negli Stati Uniti.
Circa l’80% delle auto che Ford vende negli Stati Uniti viene costruito lì, e produce più veicoli negli Stati Uniti di qualsiasi altra casa automobilistica.
Ma l’azienda ha affermato che gli ultimi accordi commerciali dell’amministrazione Trump con Giappone, Unione Europea e Corea del Sud la mettono in una posizione di svantaggio rispetto ai concorrenti stranieri.
Tali accordi ora stabiliscono un’aliquota tariffaria del 15%, inferiore alla tariffa automobilistica del 25% entrata in vigore questa primavera.
Ford deve affrontare dazi più elevati su molti componenti, nonché costi più elevati per l’alluminio importato, soggetto a dazi del 50%.
— Sharon Terlep, “ Why Ford’s Made-in-America Strategy Hurts It in Trump’s Trade War, The Wall Street Journal, 31 luglio 2025, www.wsj/com.”
Al momento, sono le aziende importatrici USA ad assorbire il costo dei dazi, mentre l’amministrazione USA vanta orgogliosamente di incassare tanti soldi.
Sono tasse sul business.
Nulla di nuovo sotto il sole.
Gli importatori USA cercheranno di negoziare prezzi migliori con le aziende europee e giapponesi e, in parte, ci riusciranno.
In parte, esatto.
Per un’altra parte, cercheranno di assorbire con maggiore produttività e competitività il maggior costo.
E la parte restante verrà scaricata sui prezzi al consumo, generando inflazione.
L’inflazione si sta stabilizzando, ma è illusorio pensare che non ci sarà una ripercussione inflazionistica grave a seguito dell’applicazione dei dazi.
Nel 1987, prima che i mercati crollassero, si discuteva di dazi e di cambio col dollaro, con l’Europa e gli Stati Uniti in forte competizione su entrambi i temi.
Poi, un mercato fragile, dove comparivano i computer e l’esecuzione automatica delle operazioni per la prima volta, fece il resto.
Il 19 ottobre il Dow Jones crollò del 22% in un solo giorno.
Se non l’hai ancora letta, la nostra pubblicazione “Il grande Crollo del 1987” è illuminante sull’argomento.
Qualche cosa di simile, portato ai valori fattibili dei giorni nostri, in un mercato molto più liquido e maturo, avverrà quando il parossismo di dazi e cambi arriverà al suo culmine, in un contesto geopolitico sempre più viziato.
Noi pensiamo nei due anni conclusivi della presidenza Trump e vorremmo sbagliarci.
Tutto il mondo in vibrazione
L’1 agosto, in realtà, ha portato un po’ di tumulto in tutto il mondo.
I dazi sono tasse sulle imprese, come detto sopra, non possono piacere ai mercati.
In Asia e nella regione del Pacifico, tutti i mercati sono scesi a minimi importanti, dopo avere segnato dei massimi intorno al 30 luglio.
L’indice australiano è sceso dal massimo storico del 30 luglio ad un minimo a due settimane.
In Cina, Hong Kong e Giappone, la narrativa è sembrata simile, massimi una settimana prima e chiusura della settimana in ribasso: tutti con sintomi di prosieguo del ribasso nella settimana entrante (chiusure sui minimi).
Il Nifty indiano, aveva già iniziato la discesa, e ha chiuso ai minimi del 13 giugno.
Nondimeno, è stata l’Europa a soffrire di più: il DAX, con un minimo a 6 settimane, l’AEX olandese minimo a 13 settimane, e lo SMI svizzero, colpito dalla stangata di incredibili dazi uniformi su tutte le merci al 39%, con il minimo a 14 settimane.
Sorti analoghe per l’indice italiano e spagnolo.
Nelle Americhe, il brasiliano Bovespa, colpito dalla vendetta trumpiana a favore dell’amichetto di merende Bolsonaro con dazi al 50%, è sceso al minimo delle ultime 14 settimane.
Gli Indici degli Stati Uniti
Fino alla sessione europea del 31 luglio, Nasdaq ed S&P500 hanno resistito.
Nella Classroom del 31 luglio, andata in onda alle 11.30, davamo ancora per possibile lo sfondamento della resistenza disegnata da tre settimane, ma indicavamo il supporto estremo a 6266, nella cui area ha poi chiuso l’S&P500 venerdì 1 agosto.
In realtà il primo cedimento è stato nella sessione americana del 31 luglio, seguito dal vistoso ribasso dell’1 agosto.
La divergenza segnalata da tempo con il Dow Jones ha avuto ancora una vola ragione: il Dow Jones non ha segnato nuovi massimi storici, al contrario degli altri due indici principali, in uno stato evidente di divergenza ribassista intermarket.
Agosto movimentato
Nell’articolo I tre indici americani a confronto, nella parte riservata agli abbonati a Traders’ Magazine, esaminiamo i punti di inversione calcolati dagli algoritmi nel mese di agosto.
Agosto 2025 potrebbe diventare memorabile, negli annali del trading mondiale.
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Maurizio Monti
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