Non è bolla.
Non si tratta di una bolla.
Lo abbiamo detto e ribadito più volte.
Il mercato è in una condizione molto diversa dal 2000.
All’epoca si illudevano gli investitori con curiosi indici che correlavano il prezzo dei titoli al fatturato, anziché agli utili.
Oggi, in modo più sensato, si pesano di più gli utili effettivi, quelli che mancavano nel 2000.
Così, il mercato tiene proprio perché al momento non si trova in una bolla.
La decelerazione relativa degli utili.
Nondimeno, quando si verificano accelerazioni intense di utili, dimensioni e fatturato, l’aumento percentuale, ad un certo punto, necessariamente decresce.
E’ il momento in cui si cominciano a fare i conti con qualche eccesso, cui inevitabilmente segue una fase più selettiva.
Si comincia anche a considerare che nell’ambito delle sette magnifiche, la quantità di fatturato che viene sostenuta dai loro scambi, diventa troppo intensa: tanto che se ipotizzassimo una sorta di bilancio consolidato delle sette magnifiche, il loro risultato complessivo sarebbe leggermente più deludente.
Rotazione, che oggi significa ribasso.
Quando iniziano tali considerazioni, comincia la cosiddetta rotazione: ovvero l’acquisto di titoli alternativi a quelli tecnologici, soprattutto i difensivi.
E’ ciò a cui abbiamo assistito dalla fine di ottobre.
E un mese di novembre negativo o quanto meno molto incerto è la testimonianza più chiara che la “rotazione” nel mercato contemporaneo è un meccanismo che non riesce a sostenere il mercato, troppo drogato ed abituato ai numeri delle tecnologiche.
Il mercato deve convincersi a poco a poco ad andare al ribasso.
Nel nostro modello ciclico, negli articoli precedenti, abbiamo rimarcato che il ciclo a 50 settimane dovrà trovare il minimo che lo concluderà fra il 15 febbraio e il 15 maggio.
Esaminiamo ora la prima proiezione del 2026 che pubblichiamo: con le relative considerazioni che fanno pensare ad un ciclo a 50 settimane con un minimo ancora più veloce del previsto.
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