Un trilione di dollari al giorno

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Il delirio dell’intraday

Nella settimana appena trascorsa, è apparsa una cosa strana, apparentemente inspiegabile, nelle scadenze delle opzioni sull’S&P500.
 

O meglio: noi lo abbiamo constatato sull’S&P500, ma non riguarda solo l’S&P500.
 

Nella giornata del 17 marzo, giorno di scadenza tecnica trimestrale, sono comparse due diverse tipologie di opzioni. Nella classificazione americana, sono appartenenti a due diverse categorie, una di tipo “ES” e una di tipo “EW3”.
 
La presenza doppia di opzioni in quel giorno ha creato anche alcuni disguidi, in cui sono caduti anche nostri clienti, che credendo di negoziare le normali opzioni della scadenza tecnica (le “ES”), prendendo per errore le “EW3” si sono trovati con problemi di esecuzione degli ordini, dovuti alla scarsa liquidità dello strumento, che, ovviamente, nessuno, o solo pochi, conoscevano.
 
Quello che è avvenuto, ha una logica, che ora spiegheremo. E tale logica ci porterà, successivamente, ad una ulteriore conseguente riflessione.
 
Come sempre, nelle scadenze tecniche, il 17 di marzo è un venerdì, come lo è stato per il 17 febbraio (come sempre quando febbraio ha 28 giorni, i primi 28 giorni del mese di marzo hanno uguali giorni della settimana rispetto a febbraio).
 
Ma nel giorno di scadenza trimestrale c’è una differenza rispetto alle normali scadenze mensili: le opzioni dell’S&P500 scadono alle 15.30 (mi riferisco a orari con il fuso italiano), anziché alle 22.
 
O, più che scadere, a quell’ora hanno il loro settlement, il momento in cui si calcola se le opzioni, rispetto al prezzo del sottostante, sono scadute in the money oppure no, con la relativa conseguenza di liquidazione.
 
Così, fino a una settimana fa, di fatto, c’era un “buco” di qualche ora nella negoziazione delle opzioni dell’S&P500: dalle 15.30 alle 22 del giorno di scadenza trimestrale.
 
Ora, tale imperdonabile “buco” di negoziazione è stato colmato. Ora esiste la “EW3”, ovvero l’opzione a scadenza settimanale, quella normale di ogni altro venerdì, che scade come tutte le opzioni del venerdì, alle 22 del giorno di scadenza trimestrale.
 
La cosa particolare, poi, è che le due opzioni, malgrado abbiano visivamente la stessa scadenza (17 marzo) hanno, come sottostante, due future diversi: la “ES” che scade alle 15.30 del 17 marzo ha come sottostante il future di marzo, quella “EW3”, che scade alle 22, ha come scadenza il future di giugno: che ha una rilevante differenza di prezzo, ora più che mai che i tassi di interesse sono elevati.
 
L’S&P500 ha opzioni che scadono tutti i giorni, dal lunedì al venerdì. Così, l’anomalia del giorno di scadenza trimestrale è stata colmata in questo modo. Hai visto mai che gli americani non fanno girare soldi a sufficienza per sei ore e mezzo consecutive?
 
Ora, viene una riflessione conseguente.
 
Quando, in pubblico, mostro come il mercato contemporaneo sia fortemente condizionato dalla massiccia quantità di opzioni negoziate, alle volte, vedo incredulità. La comprendo, è dovuta a fenomeni che non tutti vedono.
 
Sembra da non credere, che l’S&P500 si fermi su livelli di prezzo nei quali c’è una massiccia presenza istituzionale, intenzionata a proteggere un livello dove ha venduto migliaia o decine di migliaia di put o call, che si sono quindi trasformate in muri di supporto o resistenza pressoché inviolabili.
 
Sembra da non credere, ma è così.
 
Ora, mettiamo insieme alcune informazioni:
 
1) JP Morgan Chase, nelle sue statistiche, ci rende noto che le opzioni a scadenza giornaliera sono popolate dai trader retail in ragione soltanto del 5.6%: questo significa che sono sostanzialmente monopolio assoluto degli istituzionali;
2) L’esposizione media giornaliera delle opzioni a scadenza in giornata ha superato il trilione di dollari;
3) L’S&P500 ha registrato 122 movimenti giornalieri superiori all’1% (in entrambe le direzioni) nel 2022: è il massimo dal 2008, il doppio della media ventennale di 65.6.
4) Nel 2023 la tendenza si è confermata, con 15 movimenti superiori all’1%, il massimo per l’inizio di un anno dal 2016.
 
La relazione fra l’ingigantimento della volatilità assoluta giornaliera intraday e la crescita massiva del mercato delle opzioni e, ancor di più, delle opzioni a scadenza giornaliera, è quanto meno sospetta.
 
C’è una crescita impressionante di “carta” (le opzioni), che è costruita sopra altra carta (i future), costruita sopra l’immensità della carta di un indice rappresentativo di pacchi enormi di carta che sono i titoli azionari.
 
Ora, supponiamo, per una qualsiasi ragione, che quei pacchi enormi di carta abbiano un sussulto. Un panic selling? O una improvvisa febbre da FOMO rialzista? Che cosa accade a tutto ciò che gli sta sopra?
 
All’indice, lo sappiamo, si muove all’improvviso, ai future, che lo replicano, lo sappiamo, finché replicano l’indice.
 
Ma la carta sovrastante, cioè le opzioni, in presenza della violazione di livelli critici di enormità di opzioni vendute possono creare una cosa sola: una accelerazione ulteriore, violenta ed improvvisa del mercato nella direzione della rottura, per effetto delle coperture.
 
Cioè una amplificazione di effetti direzionali: i market maker sarebbero i primi ad essere esposti ad un rischio enorme, insieme con molti istituzionali e a una piccola massa di trader retail cronicamente perdenti.
 
L’S&P500 si ferma almeno 5% di perdita nella giornata, perché ne vengono sospese le negoziazioni: credo sia una regola saggia, non so dire quanto efficace, ma nell’immediato è sicuramente utile. Non accade dal 2008, quando la regola era di una perdita del 6% che avvenisse fuori dell’orario di negoziazione. All’epoca, in quel giorno, fu utile.
 
Un mercato che sta diventando gradualmente sempre più complesso impone sistemi di trading che abbiano resistito a fenomeni anche cruenti.
 
Dal 2014, esiste il metodo WeekAndOption: per essere da vincenti in quel 5.6% declamato da JP Morgan Chase.
 
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P.S.: Io ho fiducia nel mercato. Un po’ meno nelle esagerazioni. Quasi la metà delle giornate di borsa di un anno vede una oscillazione superiore all’1% sull’S&P500. E’ tanto. E’ indizio di un mercato che va avanti a strappi successivi, in preda a movimenti intraday, completo appannaggio dei grandi operatori.
 
Quando il mercato “non deve” andare da nessuna parte vedi un classico range di 80-100 punti dove il future viene fatto andare su e giù: comodissimo per le nostre strategie in opzioni, perché il decadimento temporale va a nostro favore. Ma delirante se cerchi di presumere il movimento della giornata, mettendo stop loss ragionevoli.
 
La fidanzata di Bankman-Fried diceva che intanto gli stop loss non servono … e sappiamo come è andata.
 
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Maurizio Monti

  Editore Istituto Svizzero della Borsa