La crisi prossima

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Great America

Il Maryland è un prospero stato americano affacciato sull’Oceano Atlantico. È uno stato ricco, il quinto a livello nazionale come reddito pro capite.

Storicamente fu uno degli stati che si ribellò per primo alla colonia britannica: e dove quindi la Great America fa parte del sentiment collettivo.

Baltimora, la sua città principale, è molto bella, con oltre 600.000 abitanti, la zona elegante della città è sede di molte aziende di servizi, dove la finanza domina assolutamente lo scenario.

Essendo uno stato con una dimensione umana ancora accettabile e vivibile è la zona di residenza di molte persone facoltose.

Drew è un mio caro amico che vive a Baltimora. Ricchissimo, ha creato dal nulla e fatto crescere un patrimonio immenso, amministrandolo con grande intuito e capacità non comune nella finanza.

Gli Stati Uniti stavano ancora boccheggiando in preda alla grande crisi finanziaria del secolo, era il durissimo biennio 2008-2009.

Drew era molto sereno. Dall’agosto del 2007 aveva ben capito che cosa stava accadendo, sopportò qualche perdita proprio in quel mese, ma aveva compreso come non averne di più gravi poi, mettendo il patrimonio in sicurezza e attendendo che la tempesta si scatenasse.

Ci sentivamo (e ci sentiamo ancora) spesso. L’ho sempre sentito rilassato, ottimista, un americano che sorride sempre, capace di costruirsi il proprio futuro con determinazione e di vivere una vita degna del sogno americano.

Era la fine del 2008, credo, quando, lo percepii arrabbiato, teso, come mai, proprio mai lo avevo sentito prima.

Che cosa è accaduto, my friend? Confesso che temevo mi raccontasse di qualche perdita finanziaria, ne sentivo tante in quei mesi terribili.

Mi raccontò che il governo Democratico del Maryland aveva deliberato il raddoppio della Income Tax per i cittadini che avevano più di un milione di dollari di entrate annuali. Ovviamente, lui era toccato in modo sensibile da tale decisione.

Mi raccontò con rabbia i titoli del giornale locale, a suo dire filogovernativo, che plaudeva a tale provvedimento.

Bunch of fools, li chiamò, accolita di scemi, volendo tradurre liberamente.

L’obiettivo del governo del Maryland era di incrementare il budget delle proprie entrate di 100 milioni di dollari.

Cercai di consolarlo dalla sua rabbia, raffrontando le poche tasse che comunque avrebbe pagato là in confronto a quelle che avrebbe pagato in altri Paesi, per esempio l’Italia. Non credo di averlo consolato più di tanto. Il raffronto con l’Italia non doveva essergli apparso di particolare conforto.

Passarono molti mesi, ci sentivamo, la crisi finanziaria stava passando, ma le ferite erano numerose e tutte aperte.

Passò, anche, tutto il 2009 (ricordate?, il minimo del 6 marzo a 666 di quell’S&P500 oggi oltre 2800 mentre scrivo) e ancora alcuni mesi del 2010.

Caro Drew, come vanno le cose? Doveva essere maggio o giugno del 2010. Lo sentii raggiante. Più del solito. Più di sempre, vorrei dire.

Maurisio, rispose, (perché quella z italiana lui fa fatica a pronunciarla, e sembra una s più che una z) … e mi raccontò di come lo stato del Maryland aveva preso una grande cantonata raddoppiando la Income Tax dei milionari.

Infatti, la maggior parte dei milionari, potendoselo permettere, aveva preso la residenza in altri stati e se ne era andato e il Maryland, invece che incassare 100 milioni di dollari in più, aveva incassato 100 milioni di dollari in meno.

Lui non aveva cambiato residenza. Ma considerando quel provvedimento come del tutto iniquo era assolutamente felice che il governo del Maryland avesse fallito nel proprio obiettivo.

Era una questione di libertà, non di denaro. Di giustizia.

Lui era ricco, ma questo non lo rendeva debitore di nulla di più di quanto secondo lui era giusto dovesse.

Invece, mi disse, una mentalità sempre più strana si sta diffondendo, qui negli Stati Uniti: che i ricchi sono debitori, devono qualche cosa alla società o a qualcun altro per la loro ricchezza.

Mi fece riflettere, e molto. Gli Stati Uniti sono spesso avanti a tutti in quello che poi succede nel resto del mondo.

Governi rapaci

Quell’episodio, ovviamente, confermava, per me, tutto ciò di cui ero già assolutamente certo: che gli stati dovrebbero guardare a non fare debito piuttosto che a cercare di raccogliere tasse.

E che l’eccesso di tassazione crea l’esatto inverso di ciò di cui ci si aspetta.

E, anche, che ciò che ciascuno possiede, poco o molto o moltissimo che sia, è il proprio patrimonio e non può essere depredato dallo Stato.

E che difendersi dalla predazione dei governi non è un reato ma un diritto.

E, infine, che comunque tale diritto troverà prima o poi il modo di affermarsi, perché fa parte della natura dell’uomo, che ha diritto di proteggere i beni propri, della propria famiglia da insensati attentati patrimoniali perpetrati per tappare falle incolmabili causate dalla cronica incapacità della politica di non esporsi alla corruzione del debito, dopo essersi bagnata fino al collo della corruzione endemica alla politica medesima.

Ma le convinzioni di cui sopra, che tu come Lettore puoi condividere o rigettare, come è giusto, cominciarono a far posto ad una ulteriore considerazione, che ci aiuta a leggere meglio la storia contemporanea.

Se sei ricco, sei colpevole

C’è una mentalità che si è diffusa, con epicentro partire dagli Stati Uniti. Che la ricchezza sia una colpa. Che la ricchezza va aggredita per il bene comune. Che i ricchi siano debitori e debbano “dare” perché hanno “preso”.

Ovviamente, il grande enigma irrisolto del capitalismo globalista, avallato dalla incapacità dei politici, ovvero di non riuscire a dominare il fenomeno della anomala distribuzione della ricchezza ha esagerato questo sentimento negativo, se non di odio, nei confronti della ricchezza.

Almeno due generazioni di giovani, che hanno compiuto la maggiore età o la compiranno nel nuovo millennio, e a cui sono stati negati molti sogni, dandogliene in pasto altri sostitutivi e palliativi di facile consumo, oggi gridano all’ingiustizia, guardando ai ricchi che hanno “preso” come a una categoria che dovrà “dare” se non addirittura “restituire”.

A queste due generazioni di giovani, si associano tutti coloro che dalla crisi sono stati travolti, trovandosi così in una condizione di difficile o impossibile ricollocazione.

La quantità di popolazione, negli stati occidentali, a trovarsi in questa condizione supera la maggioranza assoluta dei cittadini. Più della metà.

Negli stati più stabili politicamente e più ricchi il fenomeno è nascosto, cova sotto la cenere. In Germania, la Grande coalizione traballa ad ogni colpo di vento, ci ritroviamo forze che nessuno sospettava avere ripreso determinate dimensioni.

Nella ricca Svizzera, la disoccupazione e sottoccupazione dei colletti bianchi nei cantoni più poveri è ampiamente assorbita dalla previdenza sociale e dal tenore comunque alto di vita.

Ma sono gli stati più esposti a preoccupare. La Francia, pur di non votare né a destra né a sinistra (ormai schema non più riconosciuto da quella maggioranza di popolazione descritta sopra), sceglie di votare il nulla, nella persona di una comparsa di nome Macron.

Negli Stati Uniti, curiosamente, perché la fantasia supera sempre la realtà, va al potere Trump. Un Repubblicano non-repubblicano quanto basta per rappresentare né destra né sinistra. Perfetto per la nuova maggioranza della popolazione.

E in Italia, la nuova maggioranza si schiera con due forze politiche, lega e 5 stelle, che poi vanno a comporre un curioso governo basato su un patto (contratto) di tipo privato, poi presentato a mò di azionisti di maggioranza ad un amministratore che fosse disponibile a rappresentarlo (Conte).

Mattarella prima li caccia, poi digerisce la pillola imponendo come contropartita il cambio del timoniere delle disastrate Finanze nazionali.

Come va a finire? Male, signori.

Male. Non facciamoci illusioni. Il mondo ha bisogno di una nuova crisi.

Le nuove generazioni, a livello mondiale, anche se non per propria colpa (ma alla storia di chi è la colpa non importa proprio), hanno un modello di pensiero che rinnega il capitalismo in quanto tale ed esprime un socialismo di fatto, dirigista e alimentatore dell’odio verso i ricchi.

Non chiamiamolo in altro modo: è uno pseudo socialismo strisciante, ammantato di fregnacce inverosimili, che in Italia prendono il nome di reddito di cittadinanza, piuttosto che le vestigia della negazione delle infrastrutture essenziali al progresso e consimili corbellerie.

Scusa, Lettore: se non sei d’accordo mi spiace, io la penso così e rispetto assolutamente se tu, pensandola in modo diverso, sei d’accordo con quel socialismo strisciante.

Io lo considero, purtroppo, pericoloso per l’Italia. Ho sempre detto che dopo la Corea del Nord e Cuba, l’Italia è l’ultimo Paese dove sopravvive il socialismo reale. Sempre di più, andiamo in quella direzione.

Ciò che, poi, fa paura e deve farci paura è il dopo Trump. Trump è una transizione. È un tentativo necessario, un po’ annaspato, ma va visto come l’indicatore di direzione.

Gli Stati Uniti ammantati di un nuovo socialismo strisciante è il più grande rischio che corre l’umanità intera, dal punto di vista della salute finanziaria. Paradossalmente, potremmo rimpiangere Trump.

Attenzione alle prossime elezioni americane, se non verrà colta l’occasione di un vero risveglio di un capitalismo sano in una democrazia non corrotta politicamente e finanziariamente.

Sono gli Stati Uniti che trainano il mondo e se la direzione è sbagliata, tutto il mondo va nel fosso.

Magari, in una prossima occasione, parliamo più a fondo di questa nuova generazione, nata dalla metà degli anni 80. La generazione sfortunata. Che potrebbe portare con sé una jella micidiale per il mondo intero.

Grazie della pazienza di essere arrivato fin qui.

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