Intervista a Gianmarco Tognazzi (4° parte) – Il Vinificattore

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Milano. Intervista telefonica avvenuta in due momenti: il 22 gennaio e l’8 marzo, 2021.

Continua dall’uscita precedente (https://www.traders-mag.it/intervista-a-gianmarco-tognazzi-3-parte-il-vinificattore/ ). Nella terza parte dell’intervista con Gianmarco Tognazzi, abbiamo parlato, in ordine, della fiction che lo vede vestire i panni dell’allenatore Spalletti al fianco di un giovane Castellitto-Totti in una produzione Sky la cui ultima puntata sarà trasmessa venerdì 2 aprile in prima serata e della ditta Tognazzi-Armando che il nostro intervistato ha definito ‘famiglia’ tanto forte era il suo legame anche affettivo per l’amico Bruno scomparso nell’anno pandemico. Abbiamo concluso iniziando a trattare l’argomento vinicolo sia come amore dell’amato papà, con la sua filosofia legata alla terra, sia come nuova vita nella quale Gianmarco si è tuffato quando ha deciso di tornare a Velletri nella casa dove aveva speso gli anni della sua gioventù. Oggi, più che attore, è un ‘vinificattore’.

Il Vinificattore. Un sano modus vivendi fra impegno vinicolo e passione attoriale.

La filosofia di Ugo e il brand, tradizione e tempi moderni.

Basile: Raccontami del tuo progetto vitivinicolo trasversale, una vera e propria passione per te

Gianmarco Tognazzi: Il mio progetto, all’inizio, ebbe delle critiche, perché io e le persone coinvolte eravamo e siamo diversi dal mondo istituzionale del vino, per il quale ho grande rispetto ma che ritengo abbia degli schemi nei quali noi non entriamo. Nel corso dell’ultimo decennio, ecco la novità rispetto al passato, La Tognazza è diventata un brand. Si tratta dell’evoluzione, proprio partendo dalle vigne, di un progetto che Ugo, concentrato sul vino che era un suo divertimento, non aveva mai avuto in testa.

Basile: E sei solo tu, fra voi quattro fratelli, che te ne occupi?

Gianmarco Tognazzi: L’idea di far diventare La Tognazza una vigna è mia è vero, ma preciso che non è che non sia anche dei miei fratelli, solo che, fra i quattro, io sono tornato a vivere qui stabilmente, mentre gli altri stanno chi a Roma (Ricky), chi in Norvegia (Thomas) e chi, comunque, lontano da Velletri se non per tre passaggi all’anno (Maria Sole).

Basile: Condivisione e convivialità sono termini che hai usato con me e che avevo colto leggendo altre tue interviste: li apprezzo e considero molto anch’io. E capisco che tu possa aver fondato su di essi, come tuo padre, La Tognazza. Per avviarti in questo bel progetto ti sei messo a studiare da viticoltore?

Gianmarco Tognazzi: Mi sono dedicato a un approfondimento della mia passione e poi mi sono affidato a dei professionisti d’esperienza che mi hanno saputo consigliare e far crescere. Anche La Tognazza è cresciuta, quando, fra il 2010 e il 2015, ho unificato due territori, Lazio e Toscana, dove ho preso delle vigne. L’obiettivo era ed è produrre vini della stessa tipologia, ma di provenienza diversa, di due terreni. In ciò differisco dal modus procedendi tradizionale, cosa che capita anche con riferimento alle etichette che uso, etichette grafiche. Su quest’ultimo aspetto ci è stato detto che, per noi, il vino è come una bevanda, ma ritengo questa affermazione quasi sacrilega. L’etichetta un po’ meno ‘seria’ è un modo per fare approcciare anche un pubblico giovane al vino. Le nostre etichette non rappresentano la tradizione famigliare, concetto che rispetto moltissimo in chi fa vino da secoli, bensì La Tognazza style, intesa come grafica, suggestione, colore ed emozione, l’emozione che dà il vino e che varia da persona a persona. Insomma, rispetto gli schemi fissi che caratterizzano il mondo vinicolo, ma non mi appartengono, perché penso che il vino sia soggettivo, perciò il sommelier, per me, non ha il verbo in tasca. Il mio concetto è semplice: il vino ti piace o non ti piace, stai bene o non stai bene nel berlo. Si può dire che rischio perché faccio qualcosa di diverso. Ma anche Ugo rischiava: lo faceva in cucina, lo faceva con i personaggi che interpretava. La Tognazza è una filosofia, un modo di essere serissimo su alcune cose e ‘cazzone’ su altre. Per riassumere, noi preferiamo ai tecnicismi una bella storia intorno a un vino.

Basile: I vini che producete sono rossi e bianchi? Qual’ è il tuo preferito? La Tognazza è aperta al pubblico, no? https://latognazza.com/situescion/

Gianmarco Tognazzi: Sono sei figli, non si dice mai qual è il preferito (scherza, ndr.). Sono due bianchi e quattro rossi. Sì assolutamente è aperta al pubblico. Preciso che noi vinifichiamo il nostro vino presso delle cantine, come detto, nel Lazio e in Toscana, attraverso il nostro enologo e altri nostri professionisti. Non credo che sia necessario avere o costruire la propria cantina per far bene questo lavoro. La casa vecchia, quella intorno alla quale è sorta la tenuta de La Tognazza, è anche la casa museo che ho, nel tempo, messo su con grande sforzo ed è un luogo di aggregazione, dove sono nate tutte le nostre storie legate al vino. In alcuni casi, è stata utilizzata da noi per gli eventi de La Tognazza (quando li potevamo fare), perché è un luogo ricco di suggestione, anche rispetto ad una cantina per quanto bella e tecnologica, e perché ciò che quei muri respirano e suggeriscono io lo vedo chiaramente sulla faccia della gente che ci viene a trovare. La casa vecchia, che sta nel circuito delle dimore storiche dell’Associazione Nazionale Case della Memoria (https://www.casedellamemoria.it/it/le-case-associate/ugo-tognazzi.html ), è molto più di una cantina per noi. Purtroppo, a causa del Covid19, anche le visite alla casa museo hanno subìto lo stop. Il nostro spirito di convivialità soffrirebbe per tutte le (giuste) limitazioni necessarie a garantire il distanziamento sociale. In situazioni di normalità, è molto bello quello che succede qui da noi: persone di zone, culture ed estrazioni diverse si incontrano, ritrovandosi in un gran divertimento anzi in una grande supercazzola zingara. (www.youtube.com/watch?v=_9MTJw5ctVE).

F1) Gianmarco Tognazzi e le sue bottiglie di vino con nomi ‘cinematografici’


Gianmarco Tognazzi si nasconde scherzosamente fra i suoi ‘figli’ bianchi e rossi.
Fonte: per gentile concessione di Gianmarco Tognazzi

Basile: Visite e situazioni di convivialità proibite o alla meglio limitate: della pandemia anche La Tognazza, come altre realtà, ha dunque molto sofferto.

Gianmarco Tognazzi: Beh, siamo stati fortunati nonostante tutto, perché, quando siamo partiti 10 anni fa, lo abbiamo fatto dal nostro sito, con una sorta di e-commerce, nei rapporti con i social e con i privati, perciò, a dispetto della mazzata tremenda, anche se non facciamo grande distribuzione, data dalla chiusura dei ristoranti, che, come le enoteche, sono fra i nostri maggiori clienti, siamo riusciti a mantenere un rapporto con i privati. Proprio i privati, durante i lockdown, ci hanno fatto sentire che potevamo essere loro vicini, infatti volevano La Tognazza a casa, forse anche per ‘evadere’. Alla fine, si può dire che, se anche non è stata un’ottima annata, non solo siamo rimasti a galla, ma siamo anche stati attivi quanto al da farsi per affrontare al meglio il ritorno alla normalità. Siamo tuttora concentrati sull’organizzazione, sul concludere i lavori rimasti in sospeso e così via. Abbiamo usato questo lungo periodo per mettere a posto tante cose, direi che ci è servito.

Basile: Apprezzo molto la spinta iniziale e in fondo il motivo finale, cioè tuo papà, l’aver fatto tutto partendo da lui, in nome di una stima e di un affetto indiscussi, arrivando a celebrarlo con la casa museo e con un progetto che Ugo stesso aveva iniziato e che tu hai ripreso, coltivato e sviluppato.

Gianmarco Tognazzi: Ma sai Ugo aleggia in tutto quello che c’è. Il luogo l’ha trovato lui e l’idea di chiamare questo luogo La Tognazza, quindi al femminile trattandosi di una tenuta, una cantina, un’azienda agricola, tutti termini al femminile, fu sua e diceva che, se si fosse chiamata per esempio la tenuta Tognazzi, avrebbe assunto una connotazione e trasmesso una sensazione ben diversi. E sempre lui aveva creato una etichetta a mano che poi non abbiamo più utilizzato, o meglio la utilizzavamo per il vino che tenevamo a casa. L’etichetta è stata poi sostituita da un’idea grafica totalmente nuova, perché una volta mia madre mi disse ‘tuo padre guardava 20 anni avanti e tu stai guardando 20 anni indietro’, cosa che mi ha fatto sentire libero di rimettere in discussione un po’ tutto onde evitare di fare ‘solo’ un omaggio a papà nel nome di un puro amarcord. Posso dire che ora papà c’è ovunque, mancano solo la sua faccia e il suo nome, mentre persistono la sua filosofia e la paternità a lui riconosciuta dell’idea iniziale, poi da me arricchita e ammodernata con l’aggiunta del brand. Io penso che sarebbe orgoglioso del brand. Forse non avrebbe mai pensato che sarei riuscito a far arrivare sulla tavola di tanti suoi estimatori delle bottiglie che si chiamano TAPIOCO e ANTANI che, è vero, strizzano l’occhio ai termini della supercazzola, ma in realtà questi ultimi nacquero qui in questa casa durante le tante cene di papà in cui i commensali scrivevano ‘Amici miei’: Benvenuti, De Bernardi, Pinelli, Monicelli, alle tre di mattina, bevendo l’antenato del vino che produciamo (frutto delle vigne del Lazio, le stesse che c’erano allora e che vedo ora dalla finestra), avevano ipotizzato, ubriachi, che cosa avrebbe detto il Conte Mascetti e, biascicando, decisero per la battuta ‘Tarapia tapioco come se fosse antani con la supercazzola prematurata, con lo scappellamento a destra’. Perciò il vino si è chiamato come le battute del film che ha aiutato a inventare, ma è anche vero che dal vino si risale ad ‘Amici miei’ e così, magari, un ragazzo giovane, attraverso il nettare degli dei, può scoprire Ugo, non solo come artista, ma anche come grande anticipatore dell’enogastronomia. La forza de La Tognazza sta proprio nei colori, nelle suggestioni e nel raccontare storie che nascondono altre storie, poi Ugo ‘interviene’ in tutto ciò in maniera involontaria. Mettere il nome di Ugo sulle bottiglie sarebbe stato persino irrispettoso, perché il gioco è nascondere non mostrare e dev’essere la curiosità di chi viene, che siano amici o dei curiosi di una degustazione, a spingere a conoscere il vino, la casa, le storie e il grande Ugo.

Basile: Oltre tutto, come mi raccontavi, scoprono in un sol luogo i vini di ben due territori, Lazio e Toscana. È una bella particolarità.

Gianmarco Tognazzi: Sì. Dall’unione fra i due territori è nata l’idea di fare un vino che abbiamo chiamato Toscazio, che sembra un termine aggiunto nella supercazzola. Quel modo irriverente di porsi, come nel film, io voglio che si colga anche presso La Tognazza, perché spesso fa sentire la gente a proprio agio; chi preferisce un atteggiamento più schematico farà un altro tipo di scelta.

Ugo aleggia: il fu torneo di tennis.

Amici di padri in figli: Harrison, Leone, Salce e Tognazzi.

Basile: Caro Gianmarco tuo padre che era pro-condivisione conviviale, fu artefice di altre iniziative?

Gianmarco Tognazzi: Sì. Tutte le estati, a Torvaianica (Pomezia), si organizzava, per suo volere, un torneo di tennis fra artisti, gente dello spettacolo e esponenti della cultura, provenienti dall’Italia ma non solo, talvolta con un migliaio di presenze in tribuna a tifare e a divertirsi. Torvaianica, ai più sconosciuta, acquisì una certa notorietà proprio grazie a lui. Quell’appuntamento durò ben 30 anni.

(Leggo dal web: Le solenni arrabbiature di Renato Rascel con il suo occasionale compagno di doppio e la grinta alla Gardini di Umberto Orsini. Le improbabili “volè” di Ugo Tognazzi, il “fair play” britannico di Arnaldo Ninchi. I pallonetti di Ivo Garrani. L’entusiasmante “show” di Luciano Pavarotti in una serata di settembre insolitamente gelida e i pittoreschi insulti regolarmente indirizzati agli avversari da Alessandro Haber, la tenacia di Luciano Salce e Sergio Fantoni. Gli interminabili lamenti di Franco lnterlenghi e la simpatia contaggiosa di Vianello, Villaggio, Arbore, Nuti e Verdone. Lo stile impeccabile di Vittorio Gassman e Giuliano Gemma, il tennis approssimativo di Michele Placido e Flavio Bucci. La straripante vitalità di Daniela Poggi e la spietata concentrazione di Carol Andrè, e tanti, tanti altri. (http://www.ugotognazzi.com/wp/), ndr).

Basile: Fra i tanti che partecipavamo all’ambito e annualmente atteso torneo di tennis, fra gli artisti e le personalità non italiani, vi fu anche l’attore americano Richard Harrison. Ecco, proprio con suo figlio Sebastian, anch’egli inizialmente attore poi divenuto un business man di successo, so che vi conoscete da una vita. Devo dire che è stato gentilissimo con me e apprezzo molto il suo notevole senso dello humour; fu proprio Sebastian a propormi di intervistarti, riponendo fiducia in me, cosa di cui gli sono davvero grata. Voi come vi siete conosciuti e quando? Avete lavorato assieme quando Sebastian faceva l’attore? Siete in contatto nonostante l’ostacolo logistico, stando lui a Malibù?

(Sebastian Harrison era Satomi nel trionfale telefilm per ragazzi, negli anni 80, ‘Love me Licia’ e nei sequel ispirati, come il primo, al manga giapponese ‘Kiss me Licia’ e recitò in molti film, fra i quali anche alcuni horror e altri western, venendo, oltre tutto, da una longeva famiglia di artisti rispettabili e di successo. Sul business man ed ex attore Sebastian, rinvio con piacere all’intervista di fine 2020, interessante e scorrevole grazie a lui: www.traders-mag.it/intervista-sebastian-harrison-satomi-imprenditore-prima-parte/, ndr).

F2) Gianmarco Tognazzi con Sebastian Harrison e altri due amici figli d’arte


Vediamo da sinistra Sebastian Harrison, Andrea Leone, Emanuele Salce e Gianmarco Tognazzi.
Fonte: per gentile concessione di Sebastian Harrison

Gianmarco Tognazzi: Lavorato assieme no, ma ci conosciamo veramente da tanto, cioè dal torneo di tennis di cui parlavamo prima. Ci fu un anno in cui fecero giocare anche noi giovani figli d’arte e così la squadra fu composta da Emanuele, figlio del regista Luciano Salce, e me contro Andrea, figlio del regista Sergio Leone, e Sebastian. Con Sebastian mi ero visto a Milano, perché in uno stesso momento ci siamo trovati entrambi a lavorare lì, e a Los Angeles, appunto a Malibù, dove io andai nel 2009 a girare ‘Natale a Beverly Hills’. Da lì siamo sempre rimasti in contatto.

Basile: A proposito dell’amicizia, valore in cui credo fortemente anch’io, Schopenhauer diceva (un po’ pessimisticamente) ‘La lontananza e la lunga assenza vanno a scapito di ogni amicizia’. Ma nel vostro caso non è stato affatto così (oggi aiutato anche dal vivere in un mondo le cui distanze logistico-temporali non sono così vaste come un tempo grazie alla tecnologia e all’informatica), mentre il saggio Epicuro affermava ‘Di tutte le cose che la saggezza procura per ottenere un’esistenza felice, la più grande è l’amicizia’. (www.frasicelebri.it/argomento/amicizia/) Non so se sia la più grande, però senz’altro è un elemento essenziale di una vita umana.

Gianmarco Tognazzi: Credo che le amicizie non dipendano da quanto ti frequenti, ma dalla affettività e dall’intimità che restano in piedi. Questo per me vale nei confronti di Emanuele, ancora adesso, di Andrea e di Sebastian. Ti dirò che, fino al 1994, il rendez-vous al Villaggio Tognazzi per l’evento tennistico si era ripetuto ogni anno dalla fine degli anni 70, perciò, se capitava di non vederci nei successivi undici mesi abbondanti, comunque sapevamo che a quell’appuntamento ci saremmo rivisti, con i bei ricordi, ad ogni edizione, delle volte precedenti.

Salce/Tognazzi: da un legame forte un’amicizia ereditata

Basile: Non posso non condividere. A proposito del papà di Emanuele (il quale mi chiama ParentAle, lo trovo divertente, ndr), che lo apprezzo come artista sul palco e nei film nei quali l’ho visto, anche se lo incontro di rado, Luciano Salce, era il cugino della mia nonna materna.

(Ricordo bene nel salotto dei miei nonni a Roma, in Prati molto vicino al teatro delle Vittorie, che Salce parlava con mia mamma mentre io, di 9 anni, gli tiravo la giacca, mi sembrava altissimo dalla mia ‘bassezza’, e gli dicevo ‘voglio fare l’attrice, mi aiuti?’. Ricordo perfettamente che lui guardò mia madre rassicurandola ‘a lei penso io’. Invece, purtroppo, questo non avvenne, perché i miei genitori vedevano il relativo ambiente come ambiguo ed erano speranzosi che il mio fosse un mero desiderio infantile. Sarebbe stato un insostituibile apprendimento ‘on the job’ quello con Luciano, ho perso qualcosa di straordinario. Poi, una volta, quando avevo 15 anni e già da 6 vivevo a Milano, presi appuntamento con lui per un consiglio su come fare l’attrice: sarei dovuta andare a Roma poco prima di Natale, che come sempre festeggiavo nella capitale con la mia famiglia, ma non lo potetti fare a causa di un ictus che lo fulminò poco prima del nostro incontro. Il dispiacere fu enorme perché, se non mi ero potuta affezionare a lui non conoscendolo quasi, ne ero però rimasta affascinata e sapevo di avere perso l’opportunità di imparare molto da lui, non solo artisticamente, ndr).

Sono convinta che chi, come Salce, lascia ai posteri, dura per sempre attraverso i ricordi. Qui mi riallaccio a Ugo Tognazzi e all’importanza di imprimere nella memoria collettiva la sua figura e il suo tempo.

F3) Gianmarco Tognazzi bambino con il papà Ugo in cucina


“Se Gianmarco erediterà la mia passione (altro non credo), si troverà di fronte il toscano di turno che gliela menerà sulla ribollita ed è bene che si alleni fin da piccolo” dal libro ‘Il Rigettario’.
Fonte: dal libro ‘Il Rigettario’ autore Ugo Tognazzi, Fabbri Editori

(Mi sovviene di una intervista, che vidi in tv, al principe fra gli attori, Totò: era tanto comico quanto drammatico, faceva tanto ridere gli altri, ma lui, a suo stesso dire, non rideva. Ne allego la parte finale: ‘Lei lascerà qualche cosa, Principe? / Io no, non lascio niente, come non lascia niente nessun attore. Noi vendiamo delle chiacchiere. / Principe, permetta un’obbiezione. Lei ha costruito tutta una particolare mimica, una particolare interpretazione, una particolare storia sua personale. / Ma a che cosa serve tutto questo? Un falegname vale più di me. Il falegname lascia una sedia che può vivere nei secoli. Io lascio delle parole di cui, dopo una generazione, nessuno si ricorderà più. Diranno: ma chi è quello? Ah, così. Qualche volta nominano la Duse, sì qualche volta parleranno di noi. Ma fra cento anni chi li conosce più questi attori? Cosa, cosa lasciamo noi? Niente.’ (https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/12/01/sono-toto-dio-che-tristezza.html ; https://www.youtube.com/watch?v=tAW5umxb8cc) Chiaramente si sbagliava Totò, ndr).

Gianmarco Tognazzi: La memoria culturale e l’importanza di tramandarla certo. A proposito di Salce, Luciano cambiò la carriera di mio padre, infatti Ugo passò dal cinema con Vianello alla commedia all’italiana con ‘Il federale’ (https://www.youtube.com/watch?v=m07m7Jn43Ms ), film del 1961; l’anno dopo fu protagonista del film, sempre diretto da Luciano Salce, ‘La voglia matta’ (https://www.youtube.com/watch?v=B0OZxhhLSh0 ). Proprio così ho chiamato uno dei miei vini, uno chardonnay bianco della fascia superiore, su cui compare, in luogo di Catherine Spaak, la raffigurazione idealizzata della bellezza femminile in un mix di antico e moderno.

L’intervista continua, nei prossimi giorni pubblicheremo la quinta ed ultima parte.

 

Alessandra Basile

Attrice e Autrice. Inoltre collabora con la Comunicazione corporate di un’azienda. E’ Life Coach ICF e dal 2018 Mediatore giudiziario. Presiede l’Associazione filodrammatica Effort Abvp con la quale ha interpretato e prodotto diversi spettacoli teatrali a tematica sociale, fra i quali una pièce contro la violenza domestica, “Dolores”, della cui versione italiana è co-autrice Siae. Ama scrivere di film, spettacoli e personaggi.
Email: alessandraeffort@icloud.com
Sito web: www.alessandrabasileattrice.com
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