Intervista a Gianmarco Tognazzi (3° parte) – Il Vinificattore

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Milano. Intervista telefonica avvenuta in due momenti: il 22 gennaio e l’8 marzo, 2021.

Continua dall’uscita precedente (https://www.traders-mag.it/intervista-a-gianmarco-tognazzi-2-parte-il-vinificattore/). Nella seconda parte dell’intervista con Gianmarco Tognazzi, abbiamo parlato del reale rischio, escluso secondo entrambi, di diffusione del virus in cinema e teatri se fossero (rimasti) aperti e del fatto che suddetta apertura non sarebbe (stata) aiutata dalla categoria artistica che, essendo così poco compatta a parte in pandemia, non avrebbe (avuto) sufficiente forza a livello istituzionale. Abbiamo poi trattato in modo piuttosto approfondito il tema dei diritti e della figura professionale degli artisti, del Vecchio e Nuovo IMAIE, uno dei principali istituti mutualistici nonché quello di cui Gianmarco è portavoce per l’Audiovisivo, percorrendo la storia di questa ‘collecting’ da 30 anni fa a oggi, e della recente U.N.I.T.A., vicina agli attori su altri piani di azione professionale.

Televisione: Gianmarco Tognazzi è Luciano Spalletti per fiction: la 3° e la 4° puntata andranno in onda su Sky Atlantic venerdì 26 marzo

Eravamo rimasti a Gianmarco che sottolineava l’importanza di restare compatti, come categoria, anche dopo l’esperienza Covid, mantenendo il sentore di unitarietà, sviluppatosi nello stato d’emergenza, vivo e consolidato anche nella normalità, per ottenere quella giusta considerazione che spetterebbe a 500.000 professionisti, i quali per l’80% sono operai specializzati. Concludeva: ‘noi non costituiamo un dettaglio nel nostro Paese, sebbene così siamo stati fatti passare’.

Basile: Mi sa anche a me! Passando alla televisione, vorrei farti qualche domanda sulla fiction ‘Speravo de morì prima’, nella quale interpreti l’allenatore Luciano Spalletti. Tra l’altro, giusto all’ultima Festa del cinema di Roma, ho visto ‘Mi chiamo Francesco Totti’ e mi è piaciuto moltissimo (https://www.traders-mag.it/roma-ff15-festa-cinema-2020-prima-parte/ ).

Gianmarco Tognazzi: La fiction e il docufilm su Totti avrebbero dovuto far parte della stessa operazione, poi, avendo avuto i due prodotti tempistiche diverse di uscita, non è stato così. Abbiamo finito di girare la fiction nel mese di ottobre 2020 con l’obiettivo di farla uscire non prima di marzo 2021. È una produzione Sky ed è ispirata al libro che lo stesso Totti ha scritto con Paolo Condò: ‘Un Capitano’. La serie, come il libro, racconta il punto di vista di Totti sulla sua storia, quindi anche sui suoi rapporti. Il titolo scelto, ‘Speravo de morì prima’, fa riferimento allo striscione di alcuni tifosi nel giorno dell’addio di Totti al calcio.

(Anzi pare di uno in particolare: www.ilromanista.eu/cronaca/news/81256/lideatore-dello-striscione-speravo-de-mora-prima-alo-lasciai-allo-stadio-per-il-dolorea , ndr).

Basile: Ho letto che, per prepararti al ruolo, hai lavorato, fra le altre cose, sulla camminata di Spalletti e sul suo accento toscano, stando attento però a evitare di farne un’imitazione.

Gianmarco Tognazzi: Ti dirò che non ho incontrato Luciano Spalletti, con il quale perciò non ho avuto un confronto. Non sta tecnicamente a me creare questo tipo di occasioni per le quali devono intercorrere altre volontà. Ma, se anche l’avessi conosciuto, non mi sarei fatto influenzare da un eventuale rapporto interpersonale. Come attore poi il mio lavoro va sempre al servizio della storia, della quale in questo caso unico protagonista è Totti con il suo punto di vista e la sua percezione dei fatti narrati. La storia non è su Spalletti, benché ne costituisca un elemento importantissimo che può essere letto, da un punto di vista cinematografico narrativo, come l’antagonista, pur non essendo affatto il cattivo dell’opera. Mi sono concentrato, per prepararmi al ruolo, sul dietro le parole, sul non detto al di là della scrittura, sul piano emotivo e ho cercato di avallare le motivazioni del mio personaggio a fronte di suoi determinati comportamenti o risposte, cercando di analizzare, per esempio, le sue difficoltà nell’assumere certe posizioni. Mi sono anche soffermato su un discorso conflittuale di aspettative: quelle di Spallette su Totti e viceversa, visto e considerato che il loro rapporto da idilliaco, come tutti sanno, è diventato un pò sconcertante per entrambi, forse per via di un grande misunderstanding. Il mio lavoro prima e fuori dal set è consistito, in conclusione, in un approfondimento degli ultimi 2 anni di Spalletti (così come la fiction si è concentrata sull’ultimo biennio narrato nel libro), per un know how autodocumentale il più possibile largo, soprattutto sulla parte di storia non raccontata nella fiction.

Arrivando alla tua domanda, sì: questo lavoro attoriale sul personaggio si è arricchito di un suo ritmo, modo di parlare, atteggiamento. Per me, però, ciò che rileva è soprattutto cosa sta dietro alla ‘maschera’. Se ci soffermiamo sulle differenze somatiche fra attori e personaggi, cosa che naturalmente coinvolge anche Pietro Castellitto, qui interprete di Totti, allora può accadere che il contenuto passi in secondo piano rispetto alla forma, il concreto rispetto all’effimero, e purtroppo spesso accade proprio questo, come se il non essere esattamente il sosia di un tuo personaggio sia l’ostacolo maggiore per poterlo rendere al meglio. Allora, dico io, fai prima a prendere direttamente loro, i protagonisti della storia che qui sono persone reali e vicine, per auto-interpretarsi oppure dei bravi imitatori, che però non so se poi sappiano recitare. Il discorso è diverso a priori: questa è una fiction, non un documentario. Inoltre, non dimentichiamo che l’ex grandissimo calciatore della Roma rappresenta il cuore della capitale e non è possibile, a meno di una maschera, ricrearlo somaticamente, ma è anche un personaggio iconografico, diciamo che è di tutti, e ha lui stesso supervisionato il progetto, perciò appoggiandolo, anche se non stava tutti i giorni sul set, tant’è che per esempio io non l’ho mai incontrato quando giravo. Dunque proprio lui è stato il primo ad avere il coraggio di far rappresentare le sue emozioni e la sua biografia da altri, ciò che per me può essere letto come un atto di grande generosità anche verso i tifosi della Roma e il pubblico, perché, sai, avrebbe benissimo potuto dire ‘lo faccio io’ e, secondo me, sarebbe pure stato in grado.  Parlando del risultato finale, condivido volentieri con te la percezione che ho avuto nel vedere le prime due puntate, cosa che ho fatto perché collaboro alla promozione della serie: molto positiva. Nello specifico, al centro del lavoro diretto da Ribuoli, vi sono temi come la squadra, i rapporti interpersonali, il disagio dell’uomo, la famiglia, la presa di decisioni, i contrasti, gli amici, la società, il suo sogno con la paura che finisca; inoltre, dopo soli pochi minuti, nonostante non sia facile fare un ‘transfert’ da Francesco Totti a Pietro Castellitto, quest’ultimo diventa Totti agli occhi dello spettatore. A me è piaciuto moltissimo, mi ha stupito positivamente, e io sono un ipercritico, non solo su di me, ma anche sulle cose che faccio.

(Il discorso o problema della perfetta somiglianza con il personaggio da interpretare mi ricorda un fatto che mi aveva colpita, in verità positivamente essendo un’attrice e credendo nella capacità e nella tecnica, più che nella somaticità con cui si nasce e che non dipende da noi: nel 2002 venne trasmessa una miniserie televisiva sull’eroe Giorgio Perlasca, interpretato egregiamente da Luca Zingaretti, il quale era in verità assai diverso dal vero Perlasca, alto e biondo; ricordo di aver letto che, quando la vedova dell’eroe vide il bravissimo attore arrivare sul set, si disse sconcertata per la diversità fisica rispetto all’amato marito, apparendo sfiduciata quanto alla riuscita della fiction, ma che poi, assistendo alla sua interpretazione, si stupì e finì per vederci proprio il suo Giorgio ed emozionarsi tanto era stato convincente e profondamente dettagliato Zingaretti. Tutto ciò emozionò pure me, perché celebrava la meritocrazia a scapito della pura estetica, di per sé valore effimero. Di recente, ho letto che anche quando saltarono fuori i casting per interpretare il Commissario Montalbano, il marito della fortunata Ranieri chiamò ‘il mio agente e gli dissi “anche se lo vogliono alto, biondo e con gli occhi azzurri, io voglio fare il provino”. Ci sono stati sei mesi di audizioni, step dopo step siamo arrivati all’ultima selezione in cui eravamo rimasti in tre. Dopo alcuni giorni, mi ha chiamato il mio agente e mi ha detto:” ce l’hai fatta”.’ (www.infooggi.it/articolo/luca-zingaretti-si-racconta-al-teatro-politeama-di-catanzaro/117281). Perciò ero certa prima dell’uscita della serie che in Gianmarco e Pietro avrei visto Spalletti e Totti. Ora che sono reduce dalle prime due puntate, trasmesse su Sky Atlantic il 19/03/21, lo confermo, ndr).

F1) Gianmarco Tognazzi ‘green’


Un bello scatto del simpatico Gianmarco Tognazzi sempre vicino al verde.
Ph. Erica Fava

Basile: Uniti, dunque, tu e Pietro dall’aver vestito i panni di persone molto note e recenti, con le difficoltà del caso ma anche con l’adrenalina della sfida per un progetto che incuriosisce parecchi.

Gianmarco Tognazzi: Sì. Devo dirti che, a prodotto finito, ho avuto riprova di come ha lavorato Pietro Castellitto, il quale è uno sceneggiatore e un regista, non solo un attore. Quando sei in scena insieme non hai il tutto tondo delle sfumature interpretative che uno dà al suo personaggio, perciò a prodotto finito hai le idee più chiare. Come ho già detto, Pietro, dopo cinque minuti, prende il ritmo, l’ironia, l’anima e un modo di essere così vicino a Totti che, pur con le differenze fisiche, finisce per essere Totti agli occhi dello spettatore ed io, che non potevo esimermi dalla toscanità e da un modo di parlare di Spalletti (Gianmarco mi parla per qualche istante come il suo personaggio, rallentando il ritmo e cambiando l’intonazione, e a un certo punto mi pare di stare al telefono con qualcuno di diverso dal mio intervistato, ndr), ho però reso, non Spalletti, ma il mio Spalletti. Ho stima e simpatia per lui, non per la questione Roma, ma come allenatore e persona e, infatti, ho agito con grande onestà. Tra l’altro è abbastanza prolisso e lo sono anch’io, mentre la fiction ragiona per sintesi (ironizza, ndr). Guardando la serie, ho pensato che ci fossero dei momenti di grande umanità del mio personaggio: spero che ciò venga percepito dal pubblico e pure da lui, se la vede/l’ha vista.

Basile: Ti sei trovato bene a lavorare con Luca Ribuoli, il regista di ‘Volevo morì prima’?

Gianmarco Tognazzi: Sì. È milanista come me! Abbiamo molte cose in comune, come il rispetto per le bandiere, per le icone. Secondo me ha ‘divorato’ Totti e l’ha reso con un linguaggio leggero e rapido, ma anche potente. Ha fatto un bellissimo lavoro, anche pop, caratterizzato da equilibrio.

Basile: Quali sono state le tempistiche di questo prodotto targato 2020? Quante sono le puntate?

Gianmarco Tognazzi: Circa 5 mesi fra luglio e novembre 2020. Le puntate sono 6 da 50 minuti, trasmesse due a sera. L’ultima data è venerdì 2 aprile. La storia contiene parecchi flash back.

Basile: Ecco, forse le fiction permettono di approfondire meglio i personaggi rispetto a un lungometraggio per quanto lungo appunto, perché si svolgono in più puntate, magari con flash back.

Gianmarco Tognazzi: Sì, poi i personaggi si possono cadenzare anche di più, ma hai talmente tanto da raccontare che dipende da cosa scegli di trattare. A proposito di fiction, cinema, teatro, quindi dei vari mezzi, io ho sempre creduto che, se il teatro è (soprattutto) degli attori, che diventano un po’ autori dell’opera grazie alla gestione del palco e alla percezione diretta del pubblico oltre al rapporto con esso, il film, di cinema o televisione, è fondamentalmente dei registi.

TEATRO: l’amata ditta con Bruno Armando, una vera famiglia

Basile: Abbiamo parlato della categoria e del cinema, menzionando i teatri. Bene, ho visto che il tuo ultimo lavoro è stato tratto da un testo di Arthur Miller che hai interpretato con Elena Sofia Ricci.

Gianmarco Tognazzi: Cronologicamente è stato l’ultimo mio lavoro a teatro (‘Vetri rotti’). Ma per 15 anni ho fatto ditta con un grande attore, un carissimo amico, un fratello, parlo di Bruno Armando (https://it.wikipedia.org/wiki/Bruno_Armando ), che, purtroppo, nel marzo 2020, in concomitanza con l’inizio del primo drastico lockdown, ci ha lasciati. La morte di Bruno è stata traumatica per me, con lui ho lavorato moltissimo, in particolare su opere di autori quali Ben Hecht, Charles Mac Arthur, Francis Veber, Henrik Ibsen, Friedrich Düremat. Dirò una cosa brutta: che non si potesse andare a teatro nel 2020 (oltre che nel 2021, almeno in parte) mi ha aiutato, perché all’idea di tornare a teatro senza di lui mi manca(va) la forza. Il teatro per me è ditta con Bruno, è famiglia. Era un attore completo e per me, che sono un tradizionalista legato al teatro di una volta, perdere una figura come lui è stato terribile, come se mi avessero levato un fratello. Una mazzata! Quando tornerò a teatro, magari lo farò per ricordare Bruno, il quale avrebbe meritato una ribalta rappresentativa del suo talento, perché la ribalta avuta non era proporzionale ad esso. Era bravissimo. Tengo molto ai rapporti umani e sono grato a chi, come lui, mi è stato vicino professionalmente e umanamente.

Basile: Mi ha colpita la parola ‘ditta’. Porta una storia in sé. E per voi di 15 anni. Quale fu l’inizio?

Gianmarco Tognazzi: Abbiamo iniziato con ‘Closer’.

Basile: ‘Closer’ di Patrick Marber?!

(Esulto al telefono. Uno spettacolo importantissimo anche per me e anche per me un inizio memorabile, quello con l’associazione filodrammatica Effort Abvp – avviata con l’amica e collega Valentina Pescetto, oggi a capo di fACTORy32 una piccola realtà teatrale di stile e personalità (https://www.factory32.it/ ) – con cui mettemmo in scena, nel 2013, il play di Marber, nel quale interpretavo la fotografa Anna. Che meravigliosa e impensabile coincidenza! (https://alessandrabasileattrice.com/2013/05/29/closer-a-milano-nel-2013/ ; https://www.youtube.com/watch?v=zhPyx0RMJ2w), ndr).

(Diretti, con Claudia Gerini, da Luca Guadagnino, Gianmarco e Armando interpretarono, nel 2001, l’opera migliore di Marber, ndr).

Gianmarco Tognazzi: Sì. Dopo ‘Closer’, inscenammo ‘Il rompiballe’ di Veber per tre anni, poi ‘Prima pagina’ di Hecht e Mac Arthur per altri tre anni, poi ‘La panne’ di Dürrenmatt ancora per tre anni, poi ‘Un nemico del popolo’ di Ibsen in due riprese, nel 2012 e nel 2014. Sai, quando hai fatto migliaia di repliche insieme, hai girato tantissimi posti e sei ormai una famiglia con i tecnici e con il pubblico, la ditta diventa un riferimento. Quando la ditta Tognazzi-Armando tornava in un luogo, le persone, memori dello spettacolo precedente, affollavano i teatri. Noi costituivamo l’esempio classico del teatro di giro. A differenza, per esempio, degli inglesi, il cui teatro è più stanziale, verso il quale ci si sposta per andarlo a vedere, il teatro italiano fa il torpedone, insomma va per tournée.

(Improvviso è il ricordo nostalgico alla mia tournée in Liguria con ‘Buffet per quattro’ di Giorgio Caprile con Caprile, Margherita Fumero, Alessandro Marrapodi, Mario Mesiano e Elisabetta Perotto, mia cara amica da allora. Proprio una famiglia si era creata, un periodo bellissimo. www.albengacorsara.it/corsara/2012/04/26/buffet-per-quattro-successo-ambra-per-margherita-fumero/ , ndr)

F2) Ugo Tognazzi a La Tognazza

Ugo Tognazzi in un bello scatto in bianco e nero mentre beveva il suo vino in quel di Velletri.
Fonte: dal libro ‘Il Rigettario’ autore Ugo Tognazzi, Fabbri Editori

I Tognazzi: da un cuoco prestato al cinema a un ‘Vinificattore

Basile: Abbandoniamo cinema e tv per ora e lasciami chiederti una cosa: è vero che sei un attore, ma anche un viticoltore? Penso a La Tognazza. Me ne parli? Com’è iniziata questa parte di vita?

Gianmarco Tognazzi: Sul discorso attoriale ti dirò che, secondo me, se non vuoi vivere le controindicazioni del mestiere di attore, che ti possono portare anche a mettere in dubbio il lavoro stesso e a non capire perché le cose in quel momento non vadano, la soluzione migliore è quella di trovare un’altra passione che ti possa impegnare e far sì che non ti senta schiavo unicamente di un sistema dove gli eventi dipendono da te solo in minima parte. A maggior ragione, lo consiglio di questi tempi, che, come abbiamo detto precedentemente, sono parecchio diversi da quelli passati. Da una decina di anni considero il vino il mio lavoro e fare l’attore il mio hobby. Come Ugo si definiva un cuoco prestato al cinema, così io mi sono autodefinito un ‘vinificattore’: prima vinifico, poi faccio l’attore molto volentieri. Un tempo dicevo il contrario, come attore mi sono dato molto da fare per anni, poi è arrivato quel momento in cui, diciamo, le cose diventano più grandi di te. Essendo il mio lavoro innanzitutto il vino, non ho più lo stress del telefono che non squilla, anzi ora, se non squilla, ‘tanto meglio, perché c’ho da fa’!; se poi squilla e io non sono impegnato con La Tognazza, mi piace quanto propostomi, ci sono delle buone opportunità e la proposta mi diverte, allora faccio cinema, teatro e tv. Sennò, sai, certi meccanismi rischiano di mandarti fuori di testa e di farti prendere male il fatto che il telefono non squilli abbastanza: certe cose non hanno una logica chiara. Il mestiere del vino ha coinciso con la mia decisione di tornare a vivere in campagna, là dove avevo vissuto da piccolo, ripartendo dalla filosofia di mio padre, che, come gioco per se stesso, aveva messo in piedi La Tognazza e riteneva che ciò che gli serviva venisse proprio dalla sua terra.

(Condivido l’affermazione ‘certe cose non hanno una logica chiara’ abbinata al settore. Sono quelle cose che, come l’ansia dello squillo atteso a lungo o il tempo che frattanto passa o i mille dubbi sul da farsi al di là di studio e training, possono risultare massacranti per il diretto interessato, ndr).

Basile: Raccontami meglio di Ugo e del suo legame con la terra, della sua filosofia che tu riprendi.

Gianmarco Tognazzi: Ugo ha anticipato di vent’anni il ritorno all’orto fatto in casa e il fatto che la grande cucina si sarebbe basata sulla materia prima controllata. Infatti, quando, fra gli anni 60 e 70, tutti andavano al supermarket, lui proponeva il ritorno a un orto homemade. Lo prendevano un po’ in giro per questo. Ugo basava la sua vita sulla convivialità al centro della quale vi era la cucina. La verità è che, alla sua tavola, c’erano anche persone non di cinema e, a tal proposito, va detto che Ugo non faceva distinzioni fra le persone, ricche e povere, di successo e non, amici di una vita o nuovi, il meccanico e l’autore, era un uomo trasversale. Credeva nella condivisione, quella vera, di persona. Oggi la condivisione si fa con un click sui social (i like). Mio padre credeva nel confronto più ampio. Trovò il luogo del suo orto, del suo pollaio, della sua serra, del suo vigneto e delle sue erbe qui a Velletri, dove sono cresciuto rimanendoci per 20 anni (e da dove ti parlo). Quando sono tornato a viverci, ho preso in mano ciò che mio padre aveva costruito con i suoi guadagni e mi sono concentrato sulla mia nuova passione, quella di wine lover. Ho provato a crescere come wine maker e ho ereditato da Ugo la filosofia trasversale, che era allo stesso tempo seria (la cucina) e molto poco seria (ciò che avveniva intorno alla cucina), provando ad applicare quel concetto al vino, cioè sono seri il mio progetto vitivinicolo e il modo di fare il vino e meno serie le storie intorno al vino.

L’intervista continua, nei prossimi giorni pubblicheremo la quarta parte.

Alessandra Basile

Attrice e Autrice. Inoltre collabora con la Comunicazione corporate di un’azienda. E’ Life Coach ICF e dal 2018 Mediatore giudiziario. Presiede l’Associazione filodrammatica Effort Abvp con la quale ha interpretato e prodotto diversi spettacoli teatrali a tematica sociale, fra i quali una pièce contro la violenza domestica, “Dolores”, della cui versione italiana è co-autrice Siae. Ama scrivere di film, spettacoli e personaggi.
Email: alessandraeffort@icloud.com
Sito web: www.alessandrabasileattrice.com
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