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Non guardare solo il Cielo

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E’ prezioso, ma non è detto sia visibile.

 

Che cosa c’è sotto.
Qualche anno fa, un gruppo di ricercatori è sceso a una profondità di oltre 1.000 metri al largo delle coste delle Filippine. 

Portavano con sé telecamere ad alta risoluzione e sensori all’avanguardia, pronti a registrare dati di temperatura e pressione. 

Ciò che non si aspettavano era di incontrare una creatura mai vista prima: un polpo traslucido, con braccia sottili come fili di vetro, che galleggiava nell’acqua come un fantasma marino.

Quella specie non ha ancora un nome ufficiale, ma è diventata un simbolo di ciò che sappiamo – e di ciò che ancora non sappiamo – sulla vita nel mare. 

Quell’incontro è solo una goccia nell’oceano del mistero.

Perché la verità è che, sebbene l’umanità abbia camminato sulla Luna, non conosciamo ancora la stragrande maggioranza degli abitanti delle profondità marine.

 

L’entità della nostra ignoranza.
I dati sono tanto schiaccianti quanto affascinanti.

Al 2025, la scienza aveva ufficialmente catalogato circa 247.000 specie marine nel WoRMS (Registro Mondiale delle Specie Marine) globale. 

Tuttavia, gli esperti stimano che potrebbero esserci tra 700.000 e 1 milione di specie non descritte.

Altri rapporti estendono la stima a 2 milioni.

In altre parole, conosciamo solo tra il 10% e il 35% della vita marina. 

Il resto è là fuori, invisibile, in attesa di essere scoperto.

La statistica diventa ancora più sorprendente se aggiungiamo un altro fattore: molte di queste specie sconosciute probabilmente non le vedremo mai, perché potrebbero estinguersi prima di ricevere un nome scientifico. 

La distruzione dell’habitat, l’acidificazione degli oceani, i cambiamenti climatici e la pesca eccessiva accelerano un orologio biologico che ticchetta a nostro sfavore.

 

Censimento degli Oceani: Missione Impossibile.
Di fronte a questa realtà, nel 2023 è nata l’iniziativa Ocean Census, supportata dalla Nippon Foundation e da Nekton.

Il suo obiettivo sembra uscito da un romanzo d’avventura: scoprire 100.000 nuove specie marine in appena un decennio. 

E non è un sogno irrealizzabile.

In soli due anni, grazie a dieci spedizioni internazionali e all’impiego di sommergibili, droni subacquei e laboratori di identificazione, sono state registrate più di 860 nuove specie.

Tra queste, lo squalo chitarra, le lumache velenose e le stelle marine artiche. 

La sfida è che il processo di convalida scientifica per ogni specie può richiedere dai 10 ai 13 anni.

In altre parole, ciò che scopriamo oggi potrebbe non essere “ufficiale” per più di un decennio.

 

Zone abissali: un continente invisibile.
Gran parte dell’ignoto si nasconde nei cosiddetti abissi oceanici. 

Meno dello 0,1% delle osservazioni scientifiche proviene da queste profondità.

Il 95% della ricerca marina si è concentrato sulle acque superficiali e costiere, più facilmente accessibili.

Lo stesso vale per le montagne sottomarine – montagne sottomarine che possono raggiungere oltre 3.000 metri di altezza – che sul pianeta sono quasi 100.000, ma solo meno dell’1% di esse è stato esplorato. 

Questi luoghi sono vere e proprie oasi di biodiversità, paragonabili alle foreste pluviali tropicali sulla terraferma, eppure rimangono pressoché incontaminati dall’occhio umano.

Un esempio sconvolgente è la regione di Clarion-Clipperton nell’Oceano Pacifico. 

Lì, in un’area grande quanto l’India, sono state rilevate più di 5.000 specie sconosciute e gli esperti stimano che tra l’88% e il 92% degli organismi che popolano la zona non siano stati formalmente descritti.

 

Il valore invisibile.
Potremmo pensare che questa diversità sia solo una questione di curiosità scientifica.

Ma in realtà, parte della nostra sopravvivenza dipende da essa.

Oltre il 50% dell’ossigeno che respiriamo proviene dal fitoplancton marino. 

Molte delle molecole che utilizziamo in medicina, come alcuni antibiotici e antivirali, provengono da organismi marini.

Persino materiali innovativi per la tecnologia sono nati dall’osservazione del comportamento di spugne, meduse o coralli.

Il mare non è solo un luogo lontano: è una fabbrica del futuro silenziosa e poco esplorata.

 

Storie di resilienza.
Nonostante la devastazione, ci sono anche storie di speranza. 

A Cabo Pulmo, in Messico, la pesca indiscriminata aveva devastato la biodiversità.

Ma quando l’area fu dichiarata parco marino protetto nel 1995, la biomassa quadruplicò in appena un decennio. 

Un altro caso straordinario si è verificato nella Georgia del Sud, un’isola subantartica.

Lì, dopo la fine della caccia alle foche, la popolazione è cresciuta da soli 200 individui a 3,5 milioni in pochi decenni. 

Questi esempi dimostrano che la natura può riprendersi se le diamo spazio.

Il problema è che molte delle specie che non conosciamo non avranno mai questa possibilità, perché non sappiamo nemmeno che esistano.

 

L’oceano come metafora.
Ogni spedizione, ogni scoperta, ogni creatura traslucida o luminosa nell’oscurità degli abissi ci ricorda che anche l’ignoranza è una frontiera da esplorare. 

In questa ignoranza risiedono sia la fragilità che il potenziale del futuro. 

E forse lì, in questa tensione tra mistero e urgenza, risiede la verità.

Una storia vera: gli oceani sono un campanello d’allarme per la nostra arroganza. 

Ci ricordano che, sebbene abbiamo raggiunto le stelle, non abbiamo ancora dato un nome ai nostri vicini sul pianeta blu. 

Ciò che è prezioso non è sempre visibile a prima vista.

 

WEBINAR
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