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Lezione di trading da un’antichità sconosciuta.

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La ricchezza è connessione.

 

Lo splendore metallico di Tartesso.
Quando pensiamo alle antiche culture della Penisola Iberica, le prime cose che ci vengono in mente sono gli Iberi, i Celtiberi o i Romani che conquistarono la Spagna. 

Tuttavia, molto prima di tutto questo, esisteva una cultura che stupì il Mediterraneo con la sua ricchezza, i suoi legami commerciali e i suoi misteri: la cultura Tartessia.

Situata nel sud-ovest della penisola, tra le attuali Huelva, Siviglia e Cadice, con espansione in Estremadura e Portogallo, Tartesso fiorì tra il IX e il VI secolo a.C. e fu descritta dagli autori antichi come un luogo dove i fiumi “trasportavano oro, argento e stagno“. 

Oggi, Tartesso è sia un mito che una realtà.

Un mito perché è associato a leggende come Atlantide, e una realtà perché l’archeologia ha confermato che esisteva davvero un popolo con un’organizzazione avanzata, relazioni internazionali e una ricchezza mineraria senza pari ai suoi tempi.

Uno degli aspetti più sorprendenti della cultura tartessica è il suo legame con i metalli preziosi.

La regione in cui si insediarono era particolarmente ricca di miniere di rame, oro, argento e stagno.

Queste risorse resero Tartesso un centro di attrazione per popoli dediti al commercio come i Fenici e, più tardi, i Greci.

È interessante notare che i Tartessiani non si limitarono all’esportazione di materie prime: svilupparono officine metallurgiche in grado di trasformare i metalli in oggetti di grande bellezza e valore simbolico.

Reperti archeologici mostrano pezzi di oreficeria di altissimo livello, come il Tesoro del Carambolo, scoperto a Siviglia nel 1958, composto da collane, bracciali, pettorali e placche d’oro dallo stile inconfondibile.

Autori classici come Strabone ed Erodoto raccontano che i Tartessiani erano così prosperi che persino gli oggetti di uso quotidiano erano realizzati in argento, cosa estremamente rara nell’antichità, dove i metalli preziosi erano riservati quasi esclusivamente all’élite o a scopi religiosi.

Immaginate cosa doveva significare visitare una casa tartessa e trovare coppe d’argento invece che di argilla: un lusso quotidiano che rifletteva l’abbondanza del luogo.

Un popolo di navigatori e commercianti.
Sebbene l’esatta organizzazione della loro società sia sconosciuta, è certo che Tartesso fosse un centro nevralgico del commercio mediterraneo. 

La sua posizione strategica nella valle del Guadalquivir e il suo accesso all’Atlantico permettevano loro di controllare le rotte verso le isole britanniche, dove si rifornivano di stagno, e verso il Mediterraneo, dove commerciavano con Fenici e Greci.

I Fenici erano, infatti, grandi alleati e concorrenti. 

Stabilirono persino avamposti commerciali sulla costa andalusa, come a Gadir (l’odierna Cadice), ed entrarono a far parte della rete commerciale tartessa.

Attraverso questo contatto, i Tartessi adottarono elementi culturali orientali, dalla scrittura alfabetica a certe forme d’arte e di religione.

Anche i Greci ebbero rapporti con Tartesso.

Erodoto racconta che intorno al 630 a.C., i Focesi, un popolo greco dedito al mare, fecero una spedizione a Tartesso, dove furono accolti con grande ospitalità dal re Argantonio.

Questo monarca, il cui nome sembra riferirsi all’argento (argentum in latino), rimase così colpito dai Greci che offrì loro un aiuto finanziario per costruire mura intorno alla sua città natale e proteggerla dai Persiani. 

Il racconto di Argantonio è affascinante perché mostra Tartesso come un luogo con sovrani longevi (si dice che abbia regnato per ottant’anni e ne abbia vissuti centoventi) e con uno spirito aperto.

 

Religione, simboli e misteri.
La cultura tartessica è enigmatica anche in senso religioso. 

Sebbene gran parte di ciò che sappiamo derivi da interpretazioni archeologiche, sembra che avessero una visione del mondo in cui i metalli e la natura svolgevano un ruolo sacro. 

Alcuni esperti suggeriscono che il tesoro di Carambolo non fosse un semplice set di gioielli, ma parte di un corredo cerimoniale legato al culto di divinità fenicie come Astarte e Baal. 

Altri ritengono che fosse legato ai loro rituali, legati al sole e alla terra fertile.

In ogni caso, ciò che è chiaro è che la religione tartessica non era chiusa: assorbì influenze straniere e le mescolò con le credenze autoctone, creando un sincretismo unico.

 

Il mistero della sua scomparsa.
Nonostante la sua ricchezza e il suo splendore, Tartesso scomparve misteriosamente intorno al VI secolo a.C. 

Archeologi e storici ne dibattono ancora le cause.

Alcune teorie indicano l’esaurimento delle risorse minerarie o un declino degli scambi commerciali a fronte dell’espansione fenicia e cartaginese. 

Altri suggeriscono un disastro naturale, come un terremoto o uno tsunami, che avrebbe colpito i principali insediamenti costieri.

Comunque sia, il fatto è che dopo il regno di Argantonio le fonti classiche cessano di menzionare Tartesso, il ché fa propendere all’ipotesi della catastrofe naturale.

Improvvisamente, scomparve. 

Il suo ricordo si trasformò in mito, e alcuni la identificarono persino con la mitica Atlantide di Platone, sebbene questa connessione manchi di prove scientifiche.

Un’eredità dimenticata.
Oggi, la cultura tartessica continua a essere oggetto di studio e ispirazione.

Scavi in siti come Cancho Roano a Badajoz o intorno al Guadalquivir hanno portato alla luce templi, corredi funerari e resti urbani che ci permettono di intravedere il suo livello di raffinatezza. 

L’eredità di Tartesso è, in parte, un promemoria di come la storia possa dimenticare intere civiltà nonostante il loro splendore. 

Popoli come gli Egizi e i Greci hanno occupato un posto centrale nella memoria collettiva, mentre Tartesso è rimasta sullo sfondo, quasi una nota a piè di pagina.

Tuttavia, la sua influenza sul commercio mediterraneo e la sua ricchezza metallurgica furono decisive per il successivo sviluppo della penisola.

Inoltre, la sua natura aperta e commerciale la rende un esempio precoce di globalizzazione antica, dove diverse culture si incontravano, scambiavano e si trasformavano reciprocamente. 

La storia di Tartesso offre una preziosa lezione per chi era coinvolto nel commercio.

La cultura tartessica seppe sfruttare le sue risorse naturali (metalli preziosi) per integrarsi in una rete commerciale internazionale, attraendo Fenici e Greci.

Non solo commerciavano, ma si adattavano e innovavano, incorporando tecniche e conoscenze straniere nel proprio sistema.

La lezione è chiara: la ricchezza non risiede solo nel possedere risorse, ma nel saperle connettere al mondo, diversificare mantenendo una mentalità aperta.

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P.S. Un fatto poco noto è che la prima menzione letteraria di Tartesso nella tradizione occidentale compare in un poema greco di Stesicoro di Himera, risalente al VI secolo a.C. 

Lì, il fiume Tartesso (forse il Guadalquivir) è descritto come il luogo in cui pascolavano le mucche del dio mitologico Gerione.

Questo legame tra Tartesso e la mitologia greca dimostra quanto la civiltà fosse vista come un luogo esotico, distante e misterioso, persino dai grandi navigatori del Mediterraneo.

 

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Ringrazio la redazione spagnola di Barcellona per il lavoro di ricerca sottostante a questo articolo.

 

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