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17 settembre: il 17 porterà sfortuna?

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La prossima riunione della FED.

Compressione di volatilità

Lunedì 18 agosto, come peraltro tipico dei lunedì, è stato povero di notizie.

Ad animare un po’ lo scenario avrebbe potuto contribuire l’incontro Zelensky-Trump-Europa: ma al mercato non sembra ancora interessare granché, almeno fino alla definizione di uno scenario più certo.

Di sicuro, quello che si sta facendo è preparare l’opinione pubblica internazionale occidentale al fatto che Putin ha vinto la guerra e che i confini, nel 2025, vengono di nuovo definiti con la potenza delle armi. Ma potrei sbagliarmi.

Nella giornata di martedì 19, il governatore Bowman, quello del taglio dei tassi presto anzi subito, parlerà per due volte (ci faranno apposta?): chissà che non spingerà un poco i mercati al rialzo.

La grande attesa dei mercati però è per il simposio di Jackson Hole, nel quale, venerdì 22 agosto parlerà Powell.

Si comprende come assenza di notizie e attesa di notizie abbia fatto sì che l’S&P500 abbia avuto una delle giornate meno volatili degli ultimi mesi con un range minimo-massimo nelle 23 ore di 28 punti.

Il dilemma di Powell

A dominare le discussioni di Jackson Hole sarà l’inflazione.

I dati di un CPI tranquillo e un PPI in impennata hanno dato un quadro tutt’altro che confortante.

Come diciamo da tempo, siamo d’accordo con coloro che ritengono l’inflazione tutt’altro che domata: e un rimbalzo dell’inflazione nei prossimi mesi ha una altissima probabilità di verificarsi.

Il mercato si attende un taglio dei tassi nella riunione del mese prossimo: ipotizzando che nelle valutazioni di Powell prevalgono (o finiranno col prevalere) alcuni dati di rallentamento dell’occupazione rispetto al tendenziale aumento dei prezzi.

Una scommessa che sembra sottoscritta da tutti: forse anche troppo rispetto alla realtà.

Confesso che se il 17 settembre la FED non taglierà i tassi sarei pienamente d’accordo con loro. Ma il mercato la prenderebbe molto male.

Il tasso di inflazione core, che esclude le componenti di cibo ed energia, è salita al 3.1% annuo, il livello più alto da febbraio.

Ed è uno dei punti di riferimento della FED.

A questo aggiungiamo che i prezzi alla produzione hanno avuto una accelerazione dello 0.9% mese su mese: l’incremento maggiore da tre anni a questa parte, ovvero da quando abbiamo cominciato a vedere le prime fiammate inflazionistiche serie, che porta il trend sull’anno al 3.3%.

Altro che inflazione sotto controllo, se teniamo a riferimento l’obiettivo FED del 2%.

Dazi e prezzi

Gli ottimisti a oltranza dicono che l’aumento dei prezzi alla produzione è il sintomo che non si voglia scaricare sui consumatori i costi dei dazi.

Ma chi ci crede? e per quanto tempo?

L’Università del Michigan (quei “comunisti”…) insiste a dire che le cose non vanno per niente bene.

L’indice di fiducia dei consumatori è tornato a scendere e la causa è da ricercare nelle preoccupazioni che, prima o poi, i dazi, almeno per una parte, arriveranno sui prezzi al consumo.

Occupazione in calo? L’argomento di Bowman

Bowman, il governatore taglia-tassi (o, semplicemente, pro-Trump?), punta il dito sul “mandato occupazionale” della FED: la fragilità del mercato del lavoro, dimostrata dai dati recenti, è l’argomento centrale che lo porta a spingere per un taglio dei tassi.

Nel grande caos della nuova amministrazione, è peraltro diventato molto difficile valutare quanto il calo dell’immigrazione abbia condizionato il dato sul mercato del lavoro: il tasso di disoccupazione ancora basso al 4.2% sarebbe una prova della solidità del mercato del lavoro.

Navigazione a vista

Così, si naviga a vista, perché la situazione è in totale divenire su troppi fronti.

Come sempre in queste situazioni, si aspettano i “prossimi dati”, che potrebbero essere “determinanti” (questa è la narrativa classica quando domina l’incertezza).

La speranza che i prossimi dati siano determinanti è piuttosto labile: resta sulle spalle della FED una decisione controversa e importante.

Di una cosa possiamo essere certi: se il mercato non cambia idea e il 17 settembre i tassi non vengono tagliati, allora la conclusione del ciclo in corso dell’S&P500 sarà proprio nell’ultima decade di settembre, perché i mercati reagiranno molto male,c on una discesa superiore al 5%.

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