Volevo nascondermi di Giorgio Diritti

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Recensione del film su ‘El Matt’, Antonio Ligabue, con un superlativo Elio Germano che vince l’Orso d’argento alla 70° Berlinale per la sua interpretazione del noto pittore. Forza Italia!

Seguirà prossimamente l’intervista all’attrice Paola Lavini, che nel film interpreta Pina.

Il film è molto interessante innanzitutto per come è strutturato o per come ci appare: una serie di quadri con luci, colori, immagini e animali e una moltitudine di singole pennellate, in luogo di un classico racconto biografico, magari con aneddoti e fatti romanzati, di qualcuno che è realmente esistito e che ha lasciato un’impronta importante nella cultura dell’umanità. Qualcuno del quale ciò che più emerge, anche grazie all’interpretazione eccelsa del mai deludente Elio Germano, è la sua natura speciale, estrosa e senz’altro diversa, oltre che a suo modo geniale, insomma la sua specialità rispetto all’uomo comune. Grazie a Diritti, senza che il pubblico se ne accorga troppo durante la visione del film, questo Toni Ligabue arriva e resta: lo spettatore esce dalla sala e ci pensa perché l’immagine di ‘El Matt’ è ormai scolpita nella sua mente. La luce splendida, le scenografie curate, il sentore di trovarsi in un paesino dell’epoca, ci troviamo, all’inizio del XX secolo e dopo un breve inizio a Zurigo perché lì Ligabue nacque, in Emilia Romagna, nel paese di Gualtieri, che oggi conta meno di 6500 abitanti, oltre ai costumi e al trucco e parrucco di ogni personaggio, il cui modus loquendi è all’uopo studiato con meticolosità, rendono il film un piccolo capolavoro, tutto nostro, italiano, ma soprattutto della popolazione della Bassa reggiana. Chi era Antonio Liguabue? Un emarginato e un genio.

F1) Locandina del film e trailer

 

La locandina del film “Volevo nascondermi” diretto da Giorgio Diritti.
Fonte: per gentile concessione di Fosforo – Ufficio Stampa
Trailer: www.youtube.com/watch?v=D5oC_NYpV0s

Antonio Ligabue: vita, (s)fortune e successi
Ligabue era un pittore nato con il nome di Antonio Costa (cognome della madre) diventato Antonio Laccabue (cognome dell’uomo cui la madre andò in sposa) e vissuto per lo più con il cognome al mondo più noto (probabilmente dovuto all’odio che Toni provava per il patrigno che riteneva responsabile della morte della madre e dei 3 fratelli, vittime di una gravissima intossicazione alimentare). Il grande artista nato nel 1899 morì in malo modo, oltre che povero, a 66 anni il 27 maggio 1965. Torniamo indietro. All’età di appena un anno, il pittore fu affidato a una coppia di svizzeri senza figli che per sua fortuna lo amarono molto, soprattutto la donna cui il pittore si sarebbe sempre sentito legatissimo. La coppia purtroppo viveva in condizioni disagiate. Ligabue, inoltre, soffrì nella sua vita di rachitismo e gozzo, due malattie che ne condizionarono anche l’aspetto fisico – egli era solito dire di se stesso quanto fosse brutto – e psichico-mentale, infatti venne più volte ricoverato in degli ospedali psichiatrici. Toni condusse sostanzialmente una vita da nomade, spesso svolgendo il lavoro nei campi, cosa che gli permise di venire in contatto con la sua amica più grande: la natura. Soprattutto si legò in modo quasi Sanfranceschiano agli animali, ossia i principali soggetti dei suoi quadri vivacissimi, dai conigli alle tigri. Il periodo di Gualtieri ebbe inizio per lui nel 1919. Lì, a causa della sua esigua conoscenza della lingua italiana, venne trattato come uno straniero e all’inizio un pò emarginato.

Ma per lui esisteva una sola cura a tutto: dipingere. Lo faceva sentire bene, era il suo modo di esprimere ciò che altrimenti non sarebbe stato in grado di condividere, come quel senso profondo di solitudine tipico dell’essere umano più sensibile, e di dare un sollievo profondo alle sue ansie talvolta violente ed era la cura momentanea ai pensieri che lo assillavano. E dipingeva loro, gli animali, che tanto amava e con i quali, se poteva, viveva: per esempio i conigli. Non ancora trentenne, fece l’incontro che gli diede riconoscimento e fama: quello con il pittore e scultore Renato Marino Mazzacurati che vide subito in lui un enorme talento e gli insegnò l’uso dei colori a olio, iniziandolo a una carriera. Purtroppo, dieci anni, dopo le sue crisi maniaco-depressive peggiorano fino ad atti autolesionistici o pericolosi per gli altri, così fu nuovamente rinchiuso in un ospedale psichiatrico. Il successo di Ligabue caratterizzò sia il 1957, quando uscì il servizio giornalistico di Boschi e Ferrari su Il Resto del Carlino (gli scatti e le immagini sono ancora oggi celebri), sia il 1961 con la sua consacrazione a livello nazionale quando, a 6 anni dall’allestimento della sua prima mostra (Gonzaga), i suoi quadri vennero esposti nella Galleria La Barcaccia di Roma. Di nuovo la sfortuna si abbatté su di lui, su quell’uomo naïf dal fervido e fantasioso genio artistico, quando, l’anno successivo, fu colpito da emiparesi. Ne guarì, ma solo pochi anni dopo quel primo attacco, ricoverato presso Carri di Gualtieri, morì. Sulla sua tomba un epitaffio lo onora: «Il rimpianto del suo spirito, che tanto seppe creare attraverso la solitudine e il dolore, è rimasto in quelli che compresero come sino all’ultimo giorno della sua vita egli desiderasse soltanto libertà e amore».

F2) Sul set

 

Le figure F2a) F2b) F2c) mostrano tre momenti del film, l’uno con il bravissimo Elio Germano, l’altro con lo stesso e l’attrice Paola Lavini (di cui segue intervista), l’ultimo con una delle location.
Fonte (di tutte e tre le immagini): per gentile concessione di Fosforo – Ufficio Stampa

Elio con Giorgio Diritti
Elio Germano. Un nome, una garanzia. Sei anni dopo il suo credibile, così malato e tormentato, Giacomo Leopardi de ‘Il giovane favoloso’, regia di Mario Martone, questo multiforme interprete che dà dignità, insieme a pochi altri oggi, al panorama attoriale italiano, torna a interpretare un personaggio realmente esistito che ha fatto la nostra storia cultural-artistica ma anche universalmente umana vestendo i panni di Antonio Ligabue. È lui a farlo rivivere per noi, a farcelo ricordare o conoscere, anche grazie a una somiglianza impressionante con il celebre autoritratto del pittore, ad un accento un po’ di Gualtieri un po’ svizzero, alle studiatissime movenze di un uomo fisicamente disagiato ed emotivamente chiuso in sè, a delle espressioni del viso possibili solo a un eccellente interprete che, spinto da profonda empatia per il suo personaggio e fine studioso delle peculiarità umane, porta in vita con la spontaneità frutto di una scientificità meticolosa un grande artista del passato, anche grazie ad una regia, quella minuziosa di Giorgio Diritti, altrettanto cauta e appassionata.

Elio Germano migliore attore alla 70° Berlinale e doppiamente protagonista del festival (www.rainews.it/dl/rainews/media/elio-germano-intervista-dedico-questo-premio-a-tutti-gli-storti-tutti-gli-sbagliati-231d587b-aab2-4785-b1c0-304f7b822e30.html), presente infatti anche nella pellicola vincitrice dell’Orso d’argento alla migliore sceneggiatura ‘Favolacce’ dei fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo alla loro seconda opera come registi.

F3) Il regista, Giorgio Diritti

 

Un momento sul set con Elio Germano e il regista del film, Giorgio Diritti.
Fonte: per gentile concessione di Fosforo – Ufficio Stampa

Vederlo?
Sì. Adatto/consigliato a tutti. Concludo la mia recensione assicurando, non un coinvolgimento emotivo dal primo minuto all’ultimo, non credo sia l’obiettivo di questo film a dir poco raffinato un po’ radical chic (lo sottolineo: per me è un complimento nel nostro cinema odierno), ma due ore che trattano il tema dell’arte e dell’artista, dell’uomo e del suo io interno, due ore di ricchi silenzi e intense pennellate di immagini e colori che imprimono in noi spettatori un affresco di Toni, ‘el matt’, lo straniero, l’emarginato, il brutto, e ce lo fanno amare. Il mio voto: film 8; Elio Germano 10. (Un 10 libero da influenzamenti: ho scritto l’articolo subito dopo l’anteprima stampa del 21.4)

Alessandra Basile

Attrice e Autrice. Inoltre collabora con la Comunicazione corporate di un’azienda. E’ Life Coach ICF e dal 2018 Mediatore giudiziario. Presiede l’Associazione filodrammatica Effort Abvp con la quale ha interpretato e prodotto diversi spettacoli teatrali a tematica sociale, fra i quali una pièce contro la violenza domestica, “Dolores”, della cui versione italiana è co-autrice Siae. Ama scrivere di film, spettacoli e personaggi.
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