La terza guerra mondiale passa di lì.

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Elezioni a Taiwan.

Dal 1927 al 1949 la Cina fu sconvolta da una sanguinosissima guerra civile, di cui è ancora oggi difficile valutare i numeri.

La guerra vedeva fronteggiarsi due schieramenti ideologicamente opposti: i comunisti di Mao Zedong e i nazionalisti di Chiang Kai-shek.

Quest’ultimo ne uscì sconfitto e in una incredibile quanto disperata fuga raggiunse l’isola di Formosa (l’odierna Taiwan), portandosi appresso qualcosa come 2 milioni di sostenitori.

Nell’isola, vivevano 6 milioni di persone e ospitarne, quasi dall’oggi al domani, altre 2 milioni fu tutt’altro che indolore: e la conflittualità latente fra le due etnie permane ancora all’interno della società Taiwanese.

Chiang Kai-sheck impose la legge marziale, qualcosa che non lo rese certamente simpatico a chi già risiedeva nell’isola.

Per di più, i 2 milioni di nuovi arrivati andarono ad occupare tutti i posti chiave della politica, dell’amministrazione e della nascente burocrazia di quella che Chiang volesse fosse la Repubblica di Cina.

Il figlio di Chiang, negli anni settanta, organizzò la transizione democratica e la fine della legge marziale. Quello che Chiang avrebbe voluto forse fare, ma giudicava troppo rischioso farlo finché avesse occupato lui la poltrona di dittatore di fatto dell’isola.

Oggi Taiwan ha 23 milioni di abitanti e l’etnia occupante è diventata maggioranza rispetto all’etnia già esistente sull’isola.

Qualcosa che ricorda molto altre situazioni, come gli indiani d’America, o gli aborigeni di Australia e che certamente non rende così buoni i rapporti fra le due etnie.

Così, la classe politica di Taiwan si divise in due fazioni, i rappresentanti della nuova etnia, proveniente dalla ideologia nazionalista di Chiang Kai-sheck e coloro che provenivano, invece, dalla etnia già residente sull’isola prima dell’arrivo di Chiang.

Tali due fazioni sono ancora oggi rappresentate da due partiti politici, il Partito Democratico Progressista, guidato da Lai Ching-Te, e dal partito del Kuomintang, cioè quello di Chiang Kai-sheck, oggi guidato da Hou Yu-hi.

Quest’ultimo è colui che riconosce il (buffo) accordo fra Cina e Taiwan stipulato nel 1992, dove si riconosce l’esistenza di “un’unica Cina”, però senza specificare quale. Che è, da parte del Kuomintang, il sogno intramontato di Chiang Kai-shek di fare della Cina Continentale l’estensione naturale di Taiwan e non viceversa. Oggi, ambizione piuttosto irreale.

Con il tempo, il dualismo ha fatto nascere una terza forza, che oggi è un vero ago della bilancia, ovvero il Partito Popolare di Taiwan, guidato da Ko Wen-je.

La classica terza via che nega la contrapposizione ideologica degli altri due schieramenti offrendo una alternativa, che è sostenuta soprattutto dalle classi più giovani. So che qualcuno mi fischierà, ma in realtà un cinque stelle targato Taiwan, il classico partito che nega le capacità degli altri senza essere capace esso stesso di fare nulla. Perdonatemi, ogni tanto mi scappano …

Oggi, 13 gennaio, a Taiwan si vota, per l’elezione del Presidente e del Parlamento.

Alle 16, ora di Taiwan, le urne verranno chiuse e nelle ore immediatamente successive sapremo se gli elettori hanno favorito una scelta filo-cinese o una scelta più che mai indipendentista.

Indovina un po’, in elezioni libere, non tanto chi vincerà, quanto chi è più probabile che perda.

A Taiwan, di fatto si vota per la Cina o per gli Stati Uniti. Come la vogliamo girare o raccontare di questo si tratta.

L’esito delle elezioni potrebbe scatenare un aumento dell’attività militare cinese sull’isola. Attività di cui gli organi di stampa hanno dato continuamente notizia da molti mesi.

La Cina ha mantenuto alta la pressione militare sull’isola con satelliti, aerei militari, navi e palloni aerostatici.

Taiwan ha segnalato una miriade di tentativi da parte del governo cinese di influenzare le elezioni attraverso campagne di disinformazione, attacchi informatici e coercizione economica. Non avremmo avuto alcun dubbio su questo, anche se non lo segnalavano.

Al vertice Asia-Pacifico di novembre, Xi ha dichiarato senza mezzi termini che intende riunificare Taiwan con la Cina continentale e che non escluderà l’uso dell’esercito per farlo.

Negli incontri di questa settimana, la Cina ha chiesto agli Stati Uniti di “smettere di armare Taiwan e di opporsi all’indipendenza” di Taiwan. Curioso modo di intendere “l’indipendenza”.

E’ una situazione complessa.

In realtà, nessuna delle tre forze politiche intende sottomettersi alla Cina, ma di sicuro la Cina ha delle preferenze e giudicherà, come sempre quando i comunisti in elezioni libere perdono, la propria sconfitta dovuta ad “un intervento degli Stati Uniti”.

La terza guerra mondiale potrebbe passare dallo stretto di Taiwan.

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P.S.: Se leggi questo articolo da un cellulare, un tablet o anche un computer di ultima generazione, molto probabilmente il microprocessore che fa funzionare l’apparecchio che stai usando è prodotto a Taiwan.

Se Taiwan diventa Cina, significa che tutto il mondo diventerà sottomesso alle politiche cinesi in materia di tecnologia avanzata sui microcircuiti.

La via alternativa è creare il know-how taiwanese altrove. Gli Stati Uniti ci stanno provando, ma richiederà parecchio tempo.

L’Europa, come sempre, non si pone affatto il problema.

C’è da stare preoccupati? Pensa la Cina che occupa Taiwan e Trump che diventa Presidente degli Stati Uniti.

Ma siamo ottimisti.

Però, stasera o domani, un’occhiata alle reazioni cinesi alle elezioni a Taiwan, dovremo darla.

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Maurizio Monti

  Editore Istituto Svizzero della Borsa