Intervista a Gianmarco Tognazzi (1° parte) – Il Vinificattore

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Milano. Intervista telefonica avvenuta in due momenti: il 22 gennaio e l’8 marzo, 2021.

Introduzione
Presentare Gianmarco Tognazzi sarebbe da parte mia ambizioso e superfluo. Basti dire che è l’erede, con i suoi fratelli, di un patrimonio cultural-artistico che ha segnato la nostra storia, sia cinematografica sia di popolo e paese, con quelle peculiarità che ancora rendono unici gli italiani, nel bene e nel male. Mi riferisco agli infiniti personaggi interpretati da un indimenticabile Ugo Tognazzi, al cinema del XX secolo e a un certo modo di fare cinema, a quell’industria allora altamente stimata, sia da noi che all’estero. Con Gianmarco, gli argomenti affrontati sono stati tanti e vari, in tutta sincerità uno più interessante dell’altro, anche perché, lo devo proprio dire, il nostro intervistato si è rivelato un comunicatore efficace ed appassionante, intelligentemente nostalgico e molto affezionato al genitore del quale ha mandato avanti il progetto e la realtà de ‘La Tognazza’. Con Gianmarco si è parlato di cinema di ieri e di oggi anche in tempo di Covid, di vigneti nel nome di tradizione e innovazione, di gioie e dolori nell’ essere un attore, di famiglia e di un certo torneo di tennis. Proprio a quest’ultimo, aveva partecipato Sebastian Harrison, da lì l’amicizia, ancora perdurante, con Gianmarco. È a Sebastian che devo il contatto con Gianmarco e la bella intervista che segue.

Il CINEMA: dagli esordi agli ultimi film girati

Basile: Tu hai recitato in 60 pellicole, hai fatto una quindicina di programmi televisivi e hai calcato il palco di molti teatri, dove hai interpretato quasi ogni spettacolo in un invidiabile numero di repliche. Una cosa che mi ha colpita è che, tra i primi film in cui sei apparso, uno fu ‘L’anatra all’arancia’, del 1975, nel quale Luciano Salce dirigeva tuo padre Ugo.

Gianmarco Tognazzi: In verità, il primissimo fu ‘La partecipazione in nome del popolo italiano’ di Risi, un film del 1971. In ogni caso, i primi film da attore io credo inizino quando si diventa coscienti e maturi, mentre, quando hai 6-7 anni, si tratta di un gioco non di un lavoro, anche se il trovarti su un set ti può valere come cronologia nel curriculum; direi che due sono state le fasi del mio percorso artistico: una precedente al momento in cui ho iniziato a studiare, nel 1988/1989, con Beatrice Bracco e una sia contestuale sia successiva. La differenza fra le due fasi sta nel fatto che la prima è caratterizzata da istinto, predisposizione e gioco, mentre nella seconda subentra il lavoro e allora è tutta un’altra cosa.

(ndr, Ricordo di aver partecipato nel 2004 a un seminario di una decina di giorni, dedicato ‘full-immersion’ al lavoro sull’attore, condotto, nelle campagne umbre, dall’esperta e assai dura Beatrice Bracco (https://lnx.beatricebracco.it/ ; https://it.wikipedia.org/wiki/Beatrice_Bracco), senza dubbio un’ ottima coach e un’esperienza per me essenziale a livello formativo.)

Le produzioni in tempo di pandemia, un plauso al Cinema che resiste

Basile: Parliamo di cinema dell’ultimo biennio, particolarmente dei film che ti hanno visto coinvolto. ‘Ritorno al crimine’, sequel di ‘Non ci resta che il crimine’, regia per entrambi di Massimiliano Bruno, e ‘Divorzio a Las Vegas’ diretto da Umberto Riccioni Carteni, sono stati girati nel 2019 con l’ottica di uscire l’anno successivo. Invece uno dei due è uscito a fatica e l’altro no.

F1) Gianmarco Tognazzi

Gianmarco Tognazzi in una elegante mise in velluto.
Fonte: Ph. Erica Fava

Gianmarco Tognazzi: ‘Ritorno al crimine’, che doveva uscire il 14 di marzo del 2020, è stato riprogrammato sull’ ottobre successivo, a causa del primo lockdown, ma nemmeno in quel caso ha visto la luce, le sale cinematografiche venendo di nuovo chiuse. Tra l’altro, i produttori e i distributori del film sapevano che non avrebbero potuto incassare tanto quanto in condizioni normali; ciononostante, si sono proposti di fare uscire il film nelle sale comunque e di puntare al mese di ottobre, convinti che sarebbe stato possibile, il tutto al solo scopo di compiere un atto di fiducia nei confronti del pubblico e di dare un segnale forte, un messaggio: ‘noi ci siamo, il cinema c’è’. A questo punto, non essendo, quello di Bruno, uno di quei film con un budget tale da potere uscire direttamente sulla piattaforma, deciderà chi di dovere se farlo uscire sul grande schermo, anche in base alle riaperture delle sale.

Basile: Quindi i film programmati per il cinema non così facilmente escono, in una situazione di emergenza straordinaria come questa, direttamente in streaming?

Gianmarco Tognazzi: Dipende. Ci sono altri film che sono stati girati nel 2020 a Covid iniziato con accordi diversi che prevedevano la messa in distribuzione su piattaforma, ma ‘Non ci resta che il crimine’ è stato deciso prima della pandemia con accordi di altro tipo. Se poi lo faranno uscire, speriamo il prima possibile, ci sarà anche la difficoltà legata alla fiducia del pubblico nel tornare in sala, a meno di una bacchetta magica che faccia sparire il Covid e tranquillizzare tutti. Ritengo, però, che ci sarà anche un grande fermento nel volere tornare al cinema dopo tanto tempo.

Basile: Ne sono assolutamente convinta! Non vedo l’ora che avvenga. E ‘Divorzio a Las Vegas’, interpretato fra gli altri anche da Ricky Memphis e Giampaolo Morelli (che ricordo con simpatia dopo averlo conosciuto sul set della serie tv ‘I delitti del cuoco’)?

Gianmarco Tognazzi: Ecco, ‘Divorzio a Las Vegas’, che era programmato per i primi di ottobre 2020, è di fatto uscito in tempo seppure in condizioni diciamo ‘ridotte’.

Basile: Come è andata? Leggo (https://www.mymovies.it/film/2020/divorzio-a-las-vegas/ ) che, nelle prime due settimane di uscita, ha incassato in tutto 252.000 euro al box office italiano.

Gianmarco Tognazzi: È andata come per gli altri film di quel periodo, per via delle restrizioni anti-Covid19 e di un clima di paura (da Coronavirus) intorno alle sale cinematografiche. Basti pensare che, in una sala da 500 posti, 100 sono i posti effettivamente utilizzati per mantenere la distanza sociale. Il punto è che, finché la situazione non si sarà normalizzata, non vi sarà attinenza fra gli incassi e la percezione del pubblico. L’uscita in sala dà prova dell’esistenza del cinema, ma non si può fare alcuna analisi sul tasso di gradimento del pubblico rispetto a qualsiasi film sia stato proiettato da marzo 2020 in avanti fino a pandemia esaurita. Chi è uscito con dei film in quei mesi ha (avuto) il grande merito di trasmettere il messaggio che il grande cinema prova ad andare avanti come fosse nella normalità. Ma normalità non è.

Basile: Confermo che il cinema si è dato davvero un gran daffare, perché, se penso ai tre festival in presenza cui sono stata (Venezia, Siena e Roma in ordine di tempo), nulla si è fermato e, per un lungo bellissimo momento, io – come molti altri, visto che erano assai partecipati oltre che perfettamente organizzati – ho vissuto quasi normalmente e ho gioito di quelle kermesse.

Gianmarco Tognazzi: Certamente, perché la scorsa estate (2020) avevamo avuto l’illusione superficiale e soprattutto infondata che, siccome la situazione stava migliorando, fosse passata la buriana. Invece questo ci insegna che, finché il problema non è veramente risolto, bisogna stare con gli occhi aperti, sennò si rischia di scendere come la curva contagi per poi risalire il doppio di prima. Noi siamo bravissimi a essere catastrofici arrovellandoci nella tragedia e poi a dimenticarcene il giorno dopo.

Basile: Gianmarco, fra tutti i film che hai fatto, tantissimi, qual è il tuo preferito? Per storia, cast, ecc.

Gianmarco Tognazzi: Ognuno è stato un’esperienza e ciascuno ha rappresentato una scelta e una crescita diversa. Mi diventa difficile trovarne uno in particolare. Posso citarti fra i tanti: ‘Ultrà’ nel 1991 di Ricky Tognazzi, ‘Teste rasate’ nel 1993 di Claudio Fragasso, ‘I laureati’ nel 1995 di Leonardo Pieraccioni, ‘Uomini senza donne’ nel 1996 di Angelo Longoni con Alessandro Gassman, prima a teatro poi al cinema, il film sulla vita di Antonio Russo ‘Cecenia’ nel 2004 di Leonardo Giuliano, ‘Romanzo criminale’ nel 2005 di Michele Placido, ‘Le ultime 56 ore’ nel 2010 di Claudio Fragasso, ‘La bella addormentata’ nel 2012 di Marco Bellocchio con Isabelle Huppert, ‘Il ministro’ nel 2015 di Giorgio Amato, un film piccolino che non è andato benissimo al cinema ma ha avuto un successo strepitoso in televisione, ‘A casa tutti bene’ nel 2018 di Gabriele Muccino, grazie al quale, in un periodo in cui sembravo sparito, sono ripartito con successo, per arrivare, nel 2019, all’inizio della saga del crimine di Massimiliano Bruno. E potrei citarti tanti altri film significativi per me.

La politica culturale e il valore della memoria tramandata: dal vuoto istituzionale acuito dall’emergenza pandemica al sogno di una collettività artistica come in passato.

Basile: Parlando di cinema, quello ai tempi di tuo padre e quello dalla fine del secolo scorso a oggi, comprensivo dei titoli che mi hai elencato, com’è cambiata la situazione?

Gianmarco Tognazzi: Ai tempi di mio padre il Cinema in Italia costituiva la seconda industria del paese e la convivialità, quindi la frequentazione professionale e spesso amicale fra professionisti del settore (e non solo), era continua. L’industria negli ultimi 30 anni si è poi man mano trasformata in una sorta di artigianato, perché si è andato perdendo il contatto con quella volontà politica che era propensa a mantenere e proteggere il cinema come industria. Oggi, la politica culturale è inesistente o molto relativa e vi è realmente interessato giusto chi fa parte del settore, oltre a qualcuno che pare fingere un coinvolgimento nello sviluppo culturale di questo paese. Nonostante il nostro sia il paese o uno dei paesi con il maggiore patrimonio culturale al mondo, a livello politico non mi sembra che la cultura sia mai all’ordine del giorno, il che è quasi da incriminazione. Nel disinteresse più totale, in parte con corresponsabilità della categoria (fatta di attori e altri artisti, esercenti, registi, produttori, tecnici e così via) che negli ultimi decenni probabilmente sarebbe dovuta intervenire in maniera più decisiva e compatta per risvegliare chi poco faceva per essa, questi vizi di sistema hanno ulteriormente spinto la nostra categoria a disgregarsi sempre più. Ci sono stati, da parte della categoria, dei tentativi a singhiozzo, con alti e bassi, di ricongiungimento interno come collettività, ma quel tipo di fermento e quella continuità che erano nati nel dopoguerra – sistematici fino all’inizio degli anni 80, seppure già a metà degli anni 70 un pò di abbrivo si era perso – sono oggi riscontrabili in piccole realtà, in dei clan che hanno relazioni solo fra di loro, ma purtroppo non a livello più esteso. Ugo amava quel tipo di convivialità che alimentava, fra i presenti, il rapporto professionale e quello privato, in maniera giocosa ma con costanza. Si generavano degli interscambi e delle occasioni di lavoro, oltre a consolidarsi dei rapporti, in un insieme di serietà e gioco, privato e opportunità, lavoro e amicizia.

Basile: Fra tuo padre e Salce (rispettivamente attore e regista in più di una pellicola) c’era un vero e proprio sodalizio artistico financo un’amicizia.

Gianmarco Tognazzi: Assolutamente sì! Era una cosa comune in quegli anni, così tendeva a rapportarsi l’intera categoria di attori, produttori, registi. A maggior ragione, ciò accadeva a casa con Ugo intorno alla convivialità che caratterizzava la sua tavola, che era il posto in cui, mangiando e facendo una battuta, nascevano i confronti, le idee, le storie nonché dei rapporti, come ti dicevo, anche di forte amicizia.

F2) Ugo Tognazzi

Ugo Tognazzi in un momento in cui appare assorto in questo scatto in bianco e nero.
Fonte: dal libro “Il rigettario” autore Ugo Tognazzi, Fabbri Editori

Prospettive per il futuro: come si può andare verso una categoria unita?

Basile: Secondo te cosa potrebbe aiutare la situazione e cosa spingerebbe la categoria a una sua maggiore coesione interna ed esterna? Magari l’avere più produzioni internazionali coinvolte?

Gianmarco Tognazzi: No. Anzi, una volta l’internazionalità era più coinvolta, proprio perché, nel momento in cui tu dai peso a ciò che fai nel tuo paese e hai una forza e una certa compattezza, allora i rapporti di reciprocità con gli altri paesi arrivano, aprendo più facilmente alle coproduzioni. Purtroppo, il cinema italiano, perdendo gradualmente un’autorialità di un certo spessore, ha avuto un minor confronto con l’estero. Poi è vero che quello italiano è un cinema che resta rilegato dentro ai suoi spazi (italiani appunto), perciò se viene venduto fuori è solo grazie ad un mercato che gira. Tornando alle relazioni internazionali, oggi non è più come quando si co-produceva negli anni 70 con la Francia: tu pensa a ‘Il vizietto’ (1978) per fare un esempio relativo a Ugo. Per rispondere alla tua domanda, ciò che bisogna fare, secondo me, è partire da sé, dal proprio piccolo, e chiedersi che peso si dà al cinema e che percezione si ha di quest’ultimo e che ruolo cultura e cinema ricoprono, o meglio ricoprivano soprattutto nel passato, per la società e per il pubblico. Se il cinema perde di fattività, se si riduce l’importanza del suo ruolo sociale e di ciò che può rappresentare, se si crea un ‘minestrone’ confusionario, come accaduto negli ultimi 30 anni, diventa difficile trovare il bandolo della matassa.

Basile: Un discorso amaro di cui ti ringrazio, perché interessante ed esplicativo di tante dinamiche. Certo, non è da fare i salti di gioia. Devo dire – come più volte ha educatamente sostenuto, nelle sue interviste del 2020, anche la fondatrice e direttrice dello storico Teatro Franco Parenti di Milano, Andrée Ruth Shammah (https://it.wikipedia.org/wiki/Andr%C3%A9e_Ruth_Shammah ), che ho conosciuto e stimo – che, in questa situazione di emergenza quasi incessante, ci hanno un pò troppo dimenticati a livello di governo, ma probabilmente è un discorso collegato con il tuo punto sulla politica culturale istituzionale. Poi sono stupita e delusa dall’associazione teatri/cinema/musei -palestre/piscine (!). La Cultura è uno dei valori massimi di un paese e andrebbe rispettato e tutelato come tale. La Cultura italiana è secolare e nota in tutto il mondo nelle sue varie forme. Un certo cinema italiano appartenente al secolo andato è tutt’oggi anche internazionalmente apprezzato. Il nostro paese sovrabbonda di cultura e arte, di storia e antichità, di talento. Abbiamone più cura!

Gianmarco Tognazzi: Tuttavia, la dimenticanza è il riflesso di una categoria che, in tal senso per fortuna, con la pandemia si è risvegliata e compattata proprio perché non si sentiva considerata. Però questo non va bene: il momento in cui bisogna essere compatti, non è (solo) quando le cose vanno male, ma al contrario quando vanno bene. È nella normalità delle cose che bisogna stare sul pezzo, non nella straordinarietà di un evento come questo che ci ha duramente colpiti. Lamentarsi, nel momento in cui le cose non vanno, di non essere considerati, quando non si è fatto granché prima per esserlo, cioè per guadagnare la considerazione collettiva di tutto un settore, è un pochino…

Basile: (lo interrompo) Inutile?

Gianmarco Tognazzi: No, no, non inutile, perché è sempre meglio che una reazione ci sia, seppure tardiva, piuttosto che non esserci affatto, però diciamo scontato. Si sarebbe potuto fare di più in termini di relazioni, ruolo sociale, riconoscimento burocratico della categoria, che ancora oggi è identificata come ‘altro’. La categoria ha il diritto che le vengano riconosciuti i diritti e i doveri, tutta: non solo agli artisti, ma anche agli altri 500.000 lavoratori dello spettacolo, come i tecnici, che forse hanno subito le conseguenze del periodo Covid anche in maniera peggiore dei primi. Lo stesso dicasi per gli esercenti (di sale cinematografiche, teatri, …). Esercenti o operai dello spettacolo non sono realtà diverse, si fa tutti parte di una stessa macchina e di un medesimo problema. Ad esempio, in tempo di Covid, sembra che i problemi li abbiano (avuti) i produttori ed esercenti più che gli artisti: in realtà, se da un lato si sono sviluppati dei piani di produzione e di lavoro tali per cui, dallo scorso periodo estivo, molti artisti e le relative produzioni televisive e cinematografiche hanno ripreso a lavorare, applicando e osservando determinati protocolli, dall’altro gli esercenti hanno dovuto tenere le sale chiuse, uscendone molto penalizzati. Però non ci si può ricordare di essere tutti uniti nel momento in cui il problema ricade su una sola branchia della categoria. La categoria è un tutt’uno! Quando c’è un problema per un artista, quel problema dovrebbe riguardare tutti, dal produttore al tecnico all’esercente. E dovrebbe essere così per ciascuna branchia della categoria. Insomma, tutti uniti sistemicamente, così che ogni settore della categoria sia propedeutico agli altri. Tutti noi tendiamo, invece, a ragionare per settore, cioè, stando sempre in quest’area, a focalizzarci sul settore autori, sul settore attori, sul settore esercenti, sul settore produttori, ecc.). In questo modo, si è poco identificabili quando il problema non riguarda il settore ma tutti i settori. Quando si è – diciamo – più deboli, si è anche più facilmente ignorabili, proprio come avvenuto per il mondo della cultura cinematografica e teatrale in piena pandemia. Serve una categoria profondamente coesa.

Basile: C’è da augurarsi che l’unione ritrovata in parte nella sofferenza generata dal nemico invisibile possa rinforzarsi e accogliere anche gli ultimi del settore, quelli ai margini, dando vita a una funzionale famiglia dall’intrinseco valore cultural-artistico, estesa ma unita: uno per tutti, tutti per uno.

L’intervista continua, nei prossimi giorni pubblicheremo la seconda parte.

 

Alessandra Basile

Attrice e Autrice. Inoltre collabora con la Comunicazione corporate di un’azienda. E’ Life Coach ICF e dal 2018 Mediatore giudiziario. Presiede l’Associazione filodrammatica Effort Abvp con la quale ha interpretato e prodotto diversi spettacoli teatrali a tematica sociale, fra i quali una pièce contro la violenza domestica, “Dolores”, della cui versione italiana è co-autrice Siae. Ama scrivere di film, spettacoli e personaggi.
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