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Trump prepara l’attacco al Venezuela

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L’antefatto: Biden venditore di petrolio americano.

All’inizio della guerra in Ucraina, Biden cominciò a vendere le riserve strategiche di petrolio.

Se abbiamo contato bene ha venduto circa 180 milioni di barili.

Lo scopo era calmierare l’ipotetico probabile shock di prezzi sul mercato del petrolio e quindi contenere l’inflazione interna.

Trump, ovviamente, ha definito questa scelta irresponsabile dal punto di vista della sicurezza nazionale.

Le riserve strategiche USA, nell’ottobre scorso, ammontavano a 409 milioni di barili, ben sotto la capacità di stoccaggio stimata in 700 milioni di barili.

 

Guerra al traffico di droga?

Il magistrato Nicola Gratteri, che di droga se ne intende, in una intervista recente TV, ha dichiarato che dal punto di vista del commercio internazionale di droga non è certo il Venezuela il paese più pericoloso: senza escludere, comunque, che detto traffico possa sostenere dal punto di vista economico la dittatura di Maduro.

Da tutto questo, deduco che Trump finge di voler combattere il traffico di droga dal Venezuela e vuole invece mettere mano alle riserve strategiche del paese, rovesciando il regime e sostituendolo con un governo amico degli Stati Uniti, suonando, anche, la fanfara di riportare la democrazia nel paese.

Cosa che può essere anche vera, e lo auguriamo anche al popolo venezuelano: diciamo che i precedenti di tale fanfara (da Bush in poi) non sono stati, nella storia recente, così convincenti quando provenivano dagli Stati Uniti.

 

Azione militare prossima.

Comunque: dopo avere detto tutto e il contrario di tutto sull’operazione Venezuela, Trump nell’ultima intervista sostiene di avere deciso che cosa fare ma di non poterlo dire.

La presenza della più grande portaerei del mondo, la Gerald Ford, a 50 chilometri dalla costa venezuelana, armata di tutto punto e con la sua flotta ausiliaria di incrociatori al seguito, credo lasci pochi dubbi sul fatto che un qualche intervento militare ci sarà.

Quale sarà la reazione dei mercati all’intervento è difficile dirlo, perché dipenderà soprattutto dalla reazione della Russia, da sempre sostenitrice del governo Maduro e del suo degno criminale predecessore Chavez.

Chavez, da quel genio socialista del XXI secolo che era, fu capace di licenziare in tronco i 26.000 dipendenti dell’azienda statale che produceva petrolio, la risorsa essenziale del paese, paralizzando per anni l’economia nazionale e condannandola ad un rapido sfacelo.

Il 20% della popolazione venezuelana è emigrata (meglio dire scappata dal paese) – qualcosa come 8 milioni di persone – una sorta di esodo biblico passato sotto sostanziale silenzio.

La portata di tale emigrazione ha coinvolto in modo massiccio gli Stati Uniti che sono quindi più che mai interessati a ridimensionare questo flusso umano, paragonabile a quello proveniente dal Messico.

 

La reazione russa.

Da notizie raccolte in modo confidenziale, non ne abbiamo trovato traccia negli organi di stampa, molti aerei cargo, alcuni giganteschi, sono arrivati nelle basi militari venezuelane negli scorsi giorni: e sulla coda di detti aerei cargo c’era, molto evidente, la bandiera russa.

Difficile pensare che trasportassero noccioline (qualcuno dirà: infatti la Russia non produce noccioline), molto probabilmente trasportavano materiale militare.

Così, a quanto sembra, Usa e Russia potrebbero trovare in Venezuela l’ennesimo modo per farsi la guerra senza coinvolgere i propri territori.

 

Reazione possibile dei mercati?

Peraltro, riferendoci alle guerre recenti, dopo un impatto emotivo rilevante durato da poche ore a due-tre giorni, i mercati non hanno dimostrato una grande sensibilità alle crisi belliche.

Quello che c’è di diverso, stavolta, è la reputazione di Trump.

Il premio Nobel per la pace è stato assegnato non a lui (ci mancava) ma a Maria Corina Machado, leader dell’opposizione a Maduro, che ha poi chiamato Trump al telefono, dedicandogli il premio.

Trump si è detto sorpreso ed ha apprezzato l’atteggiamento gentile della Machado, pur dicendo di “non conoscerla”.

La Machado è stata minacciata di morte più volte dal governo venezuelano, che ha dato mandato per sequestrarla alcune ore al termine di una manifestazione anti-governativa guidata dalla leader dell’opposizione.

Fu rilasciata su una strada di Caracas, leggermente contusa, dopo un dietro-front improvviso della dittatura, che deve avere valutato troppo pericoloso ucciderla, per l’enorme seguito che ha nel paese.

O, forse, l’obiettivo era solo impaurirla, senza marchiarsi dell’ennesimo omicidio di oppositori, su un personaggio troppo noto.

Non sembra, peraltro, che l’azione abbia raggiunto l’obiettivo e il premio Nobel per la pace conferito alla Machado è certamente un colpo che la dittatura fa fatica a digerire.

Durante la manifestazione, finita con il suo breve rapimento, la Machado, inquadrata dalle telecamere di alcune reti indipendenti che trasmettevano in streaming su Youtube, ha lanciato un bacio ad uno dei cecchini presenti sul tetto di un immobile sopra la piazza dove si svolgeva la manifestazione: un gesto ai limiti dell’incredibile, ma un modo evidente per far capire al mondo intero il clima che c’è all’interno del paese.

E’ evidente che la CIA sta osservando dall’interno la situazione nel paese caraibico ed è presumibile che stia preparando il modo per spianare la strada all’intervento militare USA.

In questo quadro complesso, la reputazione di Trump sull’azione in Venezuela diventa il vero aspetto che potrebbe influenzare i mercati.

L’azione militare infatti è tutt’altro che semplice.

 

L’incubo.

L’incubo dell’invasione fallita su Cuba del 1962 è ancora vivo nell’anima americana.

Come tutti i paesi oppressi dalle dittature, Cuba ha una sola cosa che funziona: il suo potente servizio segreto, che è il vero alleato sotterraneo di Maduro.

Quell’invasione americana fallita ha lasciato una pericolosa falla nella sicurezza degli Stati Uniti, ponendo Cuba come base strategica filo-russa ed anti-occidentale a due passi dalla Florida.

Nella perfetta incapacità strutturale di Chavez e del suo successore Maduro, i servizi segreti cubani hanno fornito l’intelligence necessaria alla nascita e al consolidamento della dittatura.

Le conseguenze di quell’invasione fallita sono collegabili alla nascita della dittatura venezuelana, avendo fornito, attraverso il servizio segreto di Cuba, il carburante ideologico, operativo e criminale necessario alla dittatura.

Se l’incubo dovesse ripetersi nel Venezuela, la figura di Trump ne uscirebbe distrutta.

Questo potrebbe avere un impatto negativo sui mercati, una crisi di fiducia nella Vecchia America, un clima che certamente non farebbe bene a nessuno.

 

 

Conclusioni.

Trump muove guerra al Venezuela per prendersi le riserve petrolifere del paese.

Lo sviluppo del paese, sotto un governo filo-americano, porterebbe ad una nuova stabilità nel corso degli anni, aumentando la ricchezza interna (oggi il salario in Venezuela è di due dollari al mese), dando opportunità di lavoro ed evitando così l’ulteriore flusso migratorio verso gli Stati Uniti.

In ultimo, sì, può esserci anche la guerra al traffico di droga.

Ma quella sta in Colombia.

In Venezuela, sicuramente, ne passa una parte, ma raccontare che l’attacco al Venezuela è motivato dalla guerra al traffico di droga è poco più che una facezia trumpiana per nascondere i veri obiettivi degli USA, che sarebbero considerati più discutibili a livello interno e internazionale.

 

 

Maurizio Monti Editore Traders' Magazine Italia

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