Note economiche di un incompetente

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Finance and financial performance concept illustration

Come si vede, fin dal titolo avverto il lettore che non sono un esperto di economia, pertanto egli dovrà prendere le note che seguono per quello che vogliono essere, ossia osservazioni un po’ paradossali e scherzose (ma non troppo) che si possono trarre dalla osservazione quotidiana.

Debiti sovrani o sovranità del debito?
C’era un tempo in cui chi prestava denaro ai Re sapeva che quel denaro avrebbe anche potuto non rivederlo mai più (e se non lo sapeva lo imparava comunque a sue spese). Infatti principi e signori vari, ingolfati com’erano fra spese di guerra e irrinunciabile fasto di corte, spesso dichiaravano bancarotta e allora addio denaro. Fece così parecchie volte la Corona spagnola nel Cinquecento e Seicento, e più in là nel tempo, poco dopo il 1340, il Re d’Inghilterra Edoardo III, che fece default (come si dice oggi) dando così un colpo micidiale ai banchieri fiorentini Bardi e Peruzzi (sul caso, v. “Allegro ma non troppo” dello storico dell’economia Carlo Maria Cipolla che ha così commentato: “Se nel mondo degli affari non ci si può fidare di un gentiluomo inglese, di chi diavolo mai ci si può fidare?”). Il metodo era banditesco, però aveva una sua brutale chiarezza, quella dell’azzardo, ed un vantaggio, quello di tagliare con la spada della bancarotta il nodo gordiano in cui finiscono per aggrovigliarsi un infinito indebitamento e una crescita progressiva del carico fiscale che cerca disperatamente di tener dietro al debito.

Troppo garbati per decapitare
Nota aggiuntiva che dovrebbe far riflettere: in tempi in cui la gente credeva veramente che il potere del Re venisse da Dio, per le troppe tasse era anche capace di rivoltarsi e tagliare la testa al Sovrano, mentre ora che il potere è legittimato solo dal voto degli elettori, questi ultimi accettano dai governanti qualsiasi inasprimento fiscale senza rivoltarsi; non saremo forse diventati troppo garbati?

Economia contro biologia
Da quanto detto sopra consegue che oggi, corazzati nel dogma che gli Stati non possono e non debbono fallire, anche di fronte alla evidente incapacità di uno Stato di far fronte al suo debito ci si ostina ad escogitare tutte le alchimie finanziarie, da quella più ridicola, che consiste nel rifinanziare il debitore perché paghi, a quella più drammatica della imposizione di successivi e sempre più gravosi “piani di stabilizzazione” che portano interi popoli alla rovina (e magari alla fine della cura il debito pubblico è pure aumentato del cinquanta/settanta per cento, alla faccia della “stabilizzazione”). Ne consegue che ai nostri tempi, non solo si contraddice completamente quella razionalità economica che ci vantiamo di possedere rispetto ai nostri antenati, ma soprattutto non si è capaci di vedere che in tal modo si minano le stesse basi biologiche (in soldoni: la sopravvivenza fisica) di un popolo. Infatti, nessuna popolazione che abbia davanti a sé la prospettiva da incubo di venti o trent’anni di austerità sarà mai capace di avere voglia di fare, di intraprendere, ed anche semplicemente di riprodursi (niente nuoce alla “vitalità” – e la intendiamo qui anche “in quel senso là” – quanto la depressione economica di lunga durata..).

Obiezione somma: la tutela degli “investitori”
In realtà, a nulla valgono le obiezioni che “pacta sunt servanda”, che bisogna preservare ad ogni costo la fiducia nella solvibilità degli Stati, che bisogna salvaguardare gli investitori ecc. ecc., perché: 1) se una cosa è impossibile, è impossibile, e tanto vale prenderne atto per tempo, come del resto da sempre fa la legge fallimentare per le imprese private; 2) i famosi “investitori” di cui tanto ci si preoccupa non sono i risparmiatori privati (che di solito sono già scappati da un pezzo dai titoli a rischio), bensì sono banche e società finanziarie internazionali, le quali hanno tutti gli strumenti per sapere se e quando uno Stato diventerà insolvente, dunque se insistono a comprare buoni del tesoro “spazzatura” se ne deve concludere che, o non sanno fare il loro mestiere oppure spremono il limone fino alla fine confidando che prima o poi questo o quel “piano salvastati” (cioè: soldi pubblici) li farà rientrare dei loro “investimenti” (vedi Grecia).

Obbligazioni spazzatura e tasso di interesse (a corollario di quanto detto sopra)                                                                                                             Come è arcinoto, più è alto il debito di uno Stato, meno valgono i suoi titoli, e meno essi valgono più è alto il tasso di interesse che lo Stato in questione deve offrire per allettare gli “investitori”. La cosa sembra del tutto conseguente se vista con gli occhi della razionalità economica, non lo è affatto se vista con gli occhi dalla ragione raziocinante, la quale non solo consiglia semplicemente di tenersi alla larga da quelle obbligazioni, ma anche ci dice che è impossibile che chi è più indebitato possa pagare a medio e lungo termine quei tassi. Pertanto, i mercati che puntano ad alzare i tassi d’interesse di Paesi già molto indebitati, ne accelerano la rovina. Anche qui, si deve pensare che siano tutti sprovveduti o non, piuttosto, che qui il fine politico dello strangolamento economico o semplicemente del condizionamento di governi e parlamenti sia il vero movente? Ma quando si arriva a tale punto, il Partito Armato (armato soprattutto di impudenza) dei “mercati finanziari che hanno sempre ragione perché vogliono la stabilità, la sostenibilità ecc. ecc.” ti accusa subito di complottismo e ti tappa la bocca..

Il fantasma del consumismo
Il discorso dell’austerità ci porta dritti anche – e finalmente – ad un’altra questione: che ne è stato del famigerato consumismo? Propriamente, consumismo dovrebbe indicare quel sistema organizzato in modo tale che si produca senza sosta per consumare senza sosta e si consumi senza sosta per produrre senza sosta; di qui il biasimo generale di cui è stato circondato. Ma è mai veramente esistito un sistema del genere? Il discorso sarebbe lungo e meriterebbe una trattazione a sé, pertanto mi limiterei a dire questo: 1) se mai c’è stato altrove (vedi Stati Uniti), non c’è mai stato in Italia, anche e soprattutto ai tempi del boom economico, visto che proprio in quell’epoca il tasso di risparmio era molto più alto di oggi; 2) paradossalmente, l’austerità di questi anni, colpendo case e immobili e comunque generando incertezza sul futuro, ha giocoforza concentrato le spese della gente sull’acquisto di beni non durevoli (vedi per tutti i beni elettronici, che invecchiano rapidissimamente) o sui viaggi, mortificando le spese destinate alla lunga durata (mobili, elettrodomestici, abbellimenti e restauri ecc.). Insomma, durante il boom economico credevamo di essere consumisti e non lo eravamo, ora siamo consumisti nel senso letterale (perché consumiamo tutto quello che guadagniamo) e crediamo di non esserlo più grazie a chissà quale riacquistata saggezza.

E, per finire, un po’ di sano disincanto (anche su noi stessi)
Non ridiamo troppo della credulità dei secoli passati, quando eravamo più rozzi e la scienza economica non esisteva; tutte le volte che deridiamo i nostri antenati, ricordiamoci che per anni abbiamo preso sul serio gli economisti del Fondo Monetario Internazionale, e che noi Italiani in particolare siamo stati capaci perfino di considerare Mario Monti il salvatore dell’Italia. Ad ogni epoca le sue solenni cantonate.

 

Luigi Tirelli

Nato in Reggio Emilia il 5/09/1967
Maturità Classica al Liceo L. Ariosto di Reggio Emilia Premio Straordinario Lyons Club di Firenze al Certamen Classicum Florentinum anno 1986 Laurea in Giurisprudenza all’Università di Modena Avvocato del Foro di Reggio Emilia
Vive e lavora in Rubiera (RE)