I mercati dopo un fallimento: la Cop26

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Quale è il risultato della Cop26?

Il presidente della Cop26 si è messo a piangere, in conclusione di seduta. Comprendiamo l’accumulo di tensione, ma quelle lacrime sono la vera rappresentazione del risultato della Cop26. Un pianto.

C’erano 195 paesi, che dovevamo mettersi d’accordo. Eliminazione graduale dell’energia prodotta attraverso il carbone, questo era l’obiettivo.

Non dico che 193 paesi su 195 fossero d’accordo, perché non è così, ma di sicuro chi non era d’accordo erano due paesi che rappresentano da soli una quota maggioritaria dell’inquinamento mondiale e una massa di popolazione gigantesca il cui numero esatto non è noto neanche a loro: più o meno 2,8 miliardi di persone.

Mi riferisco alla Cina e all’India. Entrambe dipendenti dal carbone come il genere umano è dipendente dall’ossigeno che respiriamo.

Il problema è se è più importante l’ossigeno che respiriamo o alimentare il 70%, circa, delle centrali elettriche indiane e cinesi con il carbone: perché andando avanti così, mancherà il primo per far vivere le seconde.

Così, l’intervento finale per fare in modo di avere India e Cina a bordo del grande accordo mondiale sul clima, è stato un “modesto” ritocco all’obiettivo: invece che “eliminazione graduale” l’accordo finale parla di “riduzione graduale”. Un po’ come dire, che India e Cina useranno il carbone a tempo indeterminato, sia pure “riducendolo gradualmente”.

Di lì il pianto del Presidente. A cui sembrava di essere molto vicino ad un accordo molto più impegnativo.

Anche Johnson, dalle parole che ha espresso (“accordo che rappresenta l’inizio della fine del cambiamento climatico”), deve avere preparato il discorso prima dell’ultima modifica apportata. Del resto, siamo abituati, dopo avere visto il suo modo brillante di interpretare la pericolosità del Covid-19 prima che lo prendesse lui stesso, a sentire da lui commenti molto originali.

Quello che c’è da chiedersi, ora, quali siano le conseguenze sui mercati finanziari. In realtà, la Cop26 avrebbe dovuto dare una svolta alle tendenze dei mercati. Ma questo non è qui per avvenire, non certamente a breve.

Così avremo più che mai a che fare con le oscillazioni dello shock del passaggio ad una transizione energetica che non è sottoposta ad un vero piano globale, ma subirà onde d’urto successive.

Nel mondo gli investimenti in tecnologie per la produzione di energia fossile sono drammaticamente calati e tendono verso lo zero. Lo shock di domanda di energia post-pandemica ha creato come immediata conseguenza un rialzo stellare dei prezzi del gas e, in subordine, del petrolio.

Nel frattempo, gli investimenti sui nuovi impianti si concentrano soprattutto sulle rinnovabili, ma di fatto vengono finanziati molto spesso con i proventi dell’economia tradizionale, basata sull’energia da combustibile fossile. E altro non potrebbe essere, del resto.

Emblematico il caso della Norvegia: il petrolio rappresenta il 14% del PIL e il 40% delle sue esportazioni e malgrado sia un paese dove la transizione verso le energie rinnovabili abbia fatto passi da gigante, il programma di governo dei prossimi quattro anni si guarda bene dal porre in discussione le trivellazioni nel baltico per la continua ricerca di fonti di energia fossile.

Insomma per andare alla transizione energetica abbiamo bisogno di investimenti. Le risorse per tali investimenti provengono dai proventi dell’area dei combustibili fossili. Per finanziare il nuovo abbiamo bisogno del vecchio.

E quindi, dopo un po’ di temporanea maretta ribassista sugli energetici e i minerari, stiamo osservando che tornano a splendere. Insieme con i titoli migliori della green economy, il luogo che attira maggiormente gli investimenti.

I prossimi mesi, ed anni, saranno caratterizzati da un curioso ed anomalo susseguirsi di onde che vedranno esplodere prezzi delle fonti energetiche, delle materie prime e dell’inflazione, seguito da momenti di maggiore calma, dovuto non tanto al rientrare del fenomeno, quanto al conseguente temporaneo rallentamento dell’economia dovuto allo shock energetico.

Il rischio stagflazione sarà sempre in agguato.

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P.S.: La Cop26 doveva tracciare una strada nuova. La strada è quella vecchia e quella dovremo seguire. Nulla cambia sui mercati, mentre l’aspettativa era che qualcosa dovesse cambiare in linea di tendenza futura.

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Maurizio Monti

  Editore Istituto Svizzero della Borsa