Il Grande Crollo del 1987, settima puntata

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La sensazione di “fine”. 

 

Le rotative del The New York Times erano pronte con il titolo della giornata del 20 ottobre:

                        Stocks plunge 508 points, a drop of 22.6%

E sotto, nell’articolo di fondo:

                                  Does 1987 equal 1929 ?

Il 19 ottobre 1987, in un solo giorno, manda in temporaneo knock out vittime eccellenti.

La famiglia Walton, azionista di riferimento dei Wal-Mart Stores, ha perso l’epica cifra di 1.751.000.000 di dollari.

David Packard vede sfumare 875 milioni di dollari della sua quota in Hewlett-Packard.

Il suo socio William Hewlett se la cava assistendo alla polverizzazione di 449 milioni di dollari, bello, talvolta, essere soci di minoranza.

Rupert Murdoch (proprio lui, il fondatore di SKY) con la sua News Corporation perde 617 milioni di dollari.

E c’è anche un nome ancora più eccellente, che fai fatica ad identificare come un investitore che può perdere denaro in borsa: Warren Buffett! La sua Berkshire Hathaway perde 346 milioni di dollari.

E infine, Bill Gates, che con la sua Microsoft polverizza 254 milioni di dollari.

I telegiornali di tutto il mondo fino a tarda notte hanno di che parlare e raccontare l’epopea del lunedì nero delle borse mondiali. 

Tokyo durante la notte europea del 20 ottobre perse oltre il 14%, completando così il tour delle perdite globali. 

In realtà, quella fra il 19 e il 20 ottobre fu una notte d’inferno per tutti gli operatori e gli investitori. 

La sinistra domanda del The New York Times “Il 1987 come il 1929?” era semplicemente terrificante. Non era un crollo di borsa, era molto di più. 

Sembrava essere la fine di un’epoca. Qualche cosa di vicino alla fine del mondo.

I crolli di borsa creano un oscuro senso di colpa e di depressione da parte delle persone coinvolte. Il senso di colpa è quello di avere creduto nell’arricchimento tramite la finanza. E’ curioso, ma avviene proprio questo. 

Alcuni reagiscono incolpando se stessi, molti incolpando la propria banca, il proprio consulente, o qualcun altro. Il senso di colpa crea una reazione di tentativo di ribaltamento della colpa su qualcuno per non sentirsi distrutti.   

Un piccolo esercito di Yuppie si trovò scaraventato fuori dal giro. Fuori dal giro significava non potersi più permettere frequentazioni lussuose, posti ambiti, persone importanti, stile di vita altisonante.

La cultura Yuppie viveva il suo primo e drammatico momento di crisi esistenziale.

Uno Yuppie che ben conoscevo e che frequentava il circolo buono di Borsa Italiana si trovò rovinato.

Si riciclò anni dopo, creando le prime trasmissioni di televendita sulle TV private milanesi, vendendo oggetti assolutamente inutili ma di grande effetto: qualcuno forse ricorda il cestino di rifiuti da ufficio, dotato di un rudimentale sensore che applaudiva quando si gettava via la carta, presentato come un oggetto “motivazionale”. 

Dalla Borsa alla TV … 

La mattina del 20 ottobre, le borse europee apparivano completamente fuori controllo.

A Londra, al crollo del giorno prima, si aggiungeva un altro drammatico -12%. Parigi aprì con un raggelante -10%, cui seguì una parziale sospensione degli scambi. In Spagna furono sospesi tutti i titoli guida. 

Se fosse possibile, appariva essere un giorno di totale confusione, peggiore del giorno precedente. Un giorno in cui, come spesso accade ancora oggi alle Borse europee, si attende di capire che cosa faranno gli Stati Uniti.

E in quel caso, la grande speranza era che gli Stati Uniti trovassero una soluzione per uscire dall’ingorgo del ribasso infinito.

A Piazza Affari, come sempre, l’esercito dei lavoratori della Borsa, entrarono puntuali alle 8.30. Ai piani alti, le luci si erano accese molto prima.

Alcune facce scure e preoccupate salivano la scalinata di Palazzo Mezzanotte.

La grande incognita era: la borsa aprirà, come tutti i giorni? Alle 9.35, per quanto risulta a me, a 25 minuti dall’apertura, nessuno aveva preso ancora una decisione.

La risposta alla domanda fu molto semplice e tutta in perfetto stile italiano.

E’ un giorno particolare, no? Qui si rischia di non aprire addirittura, ma non si può non aprire. E chi si prende la responsabilità di non aprire?

E allora, suvvia, apriamo, ma apriamo alle 11, un’ora più tardi …

Nel frattempo, prendetevi un caffè, così allentate la tensione.

Lo so. E’ difficile da credere. Ma andò così. E l’Italia è formidabile per questo, non prenderla mai sul serio e se ti è possibile, finché non ti causa un grosso danno, ridici sopra.

Il fatto non aveva precedenti.

Posso assicurare che in quell’ora di ritardo, le voci che correvano era che la Borsa non avrebbe aperto quel giorno e che il differimento di un’ora era solo un modo per prendere tempo, vedere che cosa accadeva in Europa, posticipare l’unica decisione possibile: tenere chiuse le negoziazioni.

Personalmente ero convinto che la Borsa avrebbe aperto: ripeto, la decisione era in stile così perfettamente italiano, che non aprire la Borsa avrebbe turbato quella perfezione.

Nel frattempo, da Londra e Parigi arrivavano le notizie che ho riportato sopra. Alle 10.30, il ministro tedesco delle finanze Stoltenberg non trovò di meglio che fare una conferenza stampa per parlare di tassi di interesse: era proprio il giorno giusto, un tempismo eccezionale molto teutonico.

Alle 11, come era ovvio, la sirena suonò. La Borsa di Milano iniziava le contrattazioni.

In quel giorno, il suono di quella sirena, assolutamente normale per segnare l’inizio della giornata di Borsa, apparve il sinistro ricordo delle fughe nei rifugi, durante il periodo bellico. 

E la guerra iniziò, da subito, sul listino di Piazza Affari.

In pochi secondi, Fiat, Olivetti, Montedison e Snia Bpd vengono sospese per eccesso di ribasso. Quotazioni sotto il -10% in apertura.

Arriva un’ondata di vendite su tutto il listino. Paradossalmente, la mancanza dei titoli guida crea una assenza di fatto di punti di riferimento.

A metà seduta, qualcuno si azzarda a comprare. Arrivano acquisti. Pochi, ma crescono.

Ma.. Zurigo? Ha aperto? Sì, puntuale … perde ma non come le altre borse.

La giornata della Borsa di Milano, iniziata tardi, dura sette ore e tre minuti. La “chiama” dei valori finali dei titoli sospesi vede una serie di interventi a sostegno.

Sembra incredibile, ma alle 18 e 3 minuti, l’indice MIB aveva perso solo il 4.4%. Il modello italiano aveva vinto contro tutte le borse mondiali. Basta fare un po’ di confusione, e il gioco è fatto, no?

Non sarà così, nei giorni successivi, quando la Borsa italiana continuerà la discesa fino alla prima decade di novembre. Ma, al momento, la situazione, in qualche modo, è salva.

(continua alla prossima puntata)

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P.S.: I grandi traumi come i crolli di borsa suscitano la sensazione di “fine”.

La fine di un’epoca, nulla sarà come prima, ora cambierà tutto, d’ora in poi sarà diverso….

Invece …

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Maurizio Monti

  Editore Istituto Svizzero della Borsa